Gli eroi son tutti giovani e belli, cantava Guccini, e quelli di noi appassionati di musica non rappresentavano certo un’eccezione. Ora mentre gli anni passano inesorabilmente, è difficile non soccombere alla tristezza che lo stillicidio di necrologi rock ci porta nel cuore. Il R’n’R ci aveva illuso come degli sciocchi (ovviamente consapevoli), che i nostri eroi fossero immuni all’invecchiamento e addirittura alla morte.
Come bambini che credono alle favole, ci ostiniamo a pensare che quelli del club dei 27, King Elvis o John Lennon in fondo siano ancora vivi e se la spassino da qualche parte.
E diabolicamente perseveriamo a credere che Sua Bobbità, nonno Nello, Paul (o chi ne fa le veci) non possano veramente morire, nè tantomeno Mick che ha venduto l’anima a Keith in persona.
Ma, quando apriamo gli occhi e ci confrontiamo con la realtà, non ci resta che fare i conti con la caducità dei nostri eroi, che sfioriscono e periscono come ogni comune mortale. E, quando non sono estremi saluti, giungono alle nostre orecchie notizie di malattie gravi e spesso invalidanti, che li allontanano definitivamente dalla musica.
La resurrezione resta prerogativa d’altri, ma, a volte, qualche miracolo capita anche da queste parti. Correva l’anno 2015 e ascoltavamo con trepidazione le notizie sul malore che aveva colpito la divina Joni Mitchell. Le poche voci che trapelavano risultavano piuttosto vaghe, ma la sostanza pareva chiara: anche se fosse sopravvissuta non avremmo più potuto sentirla suonare. L’artista canadese sembrava, peraltro, aver abbandonato la musica per l’amata pittura già da tempo. Ma poco importa che il suo contributo alla musica fosse ormai sostanzialmente nullo, perchè la sparizione dalle scene rappresentava in ogni caso un piccolo grande pezzetto della nostra vita che veniva a mancare, nonostante sapessimo che i suoi dischi erano lì ad aspettarci.
Ma dicevamo di piccoli miracoli; ebbene, non si può che definire in questo modo, l’insperato ritorno alle scene di Mitchell al Folk Festival di Newport del 2022. L’artista canadese è accompagnata da un folto ensemble denominato Joni Jam, assemblato e guidato da Brandi Carlile, artista che più di tutti ha spinto e patrocinato la grande rentrée. Troviamo Joni in mezzo al palco con una mise sfavillante, sprofondata in una poltrona vistosamente ornata. Insomma, un trono per una regina del folk, il cui bastone ghermito con classe, appare quindi più uno scettro che un sostegno.
Inutile dire che si tratta di un’esibizione emozionante, sia per l’eccezionalità dell’avvenimento che per l’interpretazione di Mitchell; Joni infatti, con una voce privata della sua eccezionale estensione vocale, riesce a farci capire cosa significhi invecchiare con grazia.
In un’epoca nella quale agli eroi giovani e belli viene chiesto di cantare a squarciagola sempre e comunque, in barba a ogni tipo di dinamica e di espressività dell’interpretazione, l’artista canadese ci mostra il valore della fragilità. Il suo cantato potrà essere debole, e perciò viene spesso accompagnato e sorretto dai compagni di avventura, ma non è mai incerto. A vibrare sono dunque, le corde dell’anima e non i cristalli.
L’esibizione è una piccola lista di grandi classici. I brividi si susseguono senza tregua e se forse, “A case of you” e “The circle game” si ergono un pizzico sopra le altre, non ci sono dubbi su quale sia il vertice emotivo e artistico del breve concerto, ovvero “Both Sides Now”.
Questa canzone, oltre a essere uno dei capisaldi del repertorio mitchelliano, ha sempre rappresentato una sorta di mistero gaudioso. Si tratta infatti (per i pochi che non lo sapessero), di un brano che parla del perpetuo cambiamento al quale siamo soggetti nel corso del nostro cammino su questo pianeta: ciò che abbiamo di fronte cambia, non solo per la propria natura, ma soprattutto perché a mutare è la nostra prospettiva. Una nuvola che un giorno sembra un disegno nel cielo e rende la giornata più lieta, l’indomani diventa portatrice di pioggia; allo stesso modo anche il nostro sguardo nei confronti dell’amore e della vita si piega allo scorrere del tempo. L’artista si fa latrice di questa duplice prospettiva dell’animo umano e sembra giungere alla saggia conclusione che crescere e invecchiare non significa acquisire un arrogante chiarezza nello sguardo nei confronti della realtà, ma piuttosto diventare consapevoli che, socraticamente, non sappiamo veramente niente delle nuvole, come della vita e dell’amore.
Ciò che rimane un mistero è come sia possibile che una canzone del genere, che trasuda vita vissuta, gioia e sofferenza, ma soprattutto, saggezza infinita, sia stata scritta nel 1966 da una giovane donna di 23 anni?
Ovviamente c’è una storia dietro alla composizione del brano, che ci racconta la stessa Mitchell:
“Stavo leggendo … Il Re della Pioggia (ndr romanzo di Saul Bellow) su un aereo e all’inizio del libro Henderson … è anche lui su un aereo. Sta andando in Africa, guarda giù e vede queste nuvole. Ho messo giù il libro, ho guardato fuori dal finestrino e ho visto anch’io le nuvole, e ho iniziato subito a scrivere la canzone. Non avevo idea che la canzone sarebbe diventata così popolare.”
Parole che ci raccontano lo spunto da cui è scaturita la canzone, ma non svelano come l’artista sia giunta all’intuizione che costituisce il nucleo poetico del brano.
L’enigma che mi ha tormentato per anni ha trovato la sua spiegazione proprio in occasione del grande ritorno sul palco dell’ormai ottantenne cantautrice.
Solo in questo momento, sentendo la voce di Joni indebolita e incrinata dagli anni interpretarne i versi, é stato possibile capire che “Both Sides Now” non è semplicemente una canzone, ma un piccolo miracolo nel miracolo: un cortocircuito temporale che trascende la linearità del tempo, una visione del futuro e, nel contempo, un viaggio nel passato.
“Both Sides Now” ci si rivela come una canzone scritta da Joni nel 1966, affinché la stessa cantante divenuta ormai anziana “regina” potesse cantarla nel 2022 con tutta la consapevolezza dei suo 80 anni di vita, finendo così per spaccarci il cuore a metà. E allo stesso tempo, è stata la regina Joni a viaggiare a ritroso nel tempo e a donare alla giovane cantautrice il brano, assieme alla propria decennale saggezza, splendidamente condensata tra quelle musiche e quelle parole.
Impossibile? Certo! Ma non fa proprio questo l’Arte con la A maiuscola? Plasmare la nostra percezione della realtà per trasportarci, per pochi interminabili momenti, “altrove”, dove non regnano le leggi della fisica e della razionalità?
La soluzione del mistero che avvolge “Both Sides Now” è quindi in fondo tutta qua: è inutile tentare di placare la nostra curiosità, magari cercando appigli razionali, meglio abbandonarsi all’inesplicabilità dell’ispirazione, mentre ci muoviamo nell’eterno girotondo della vita, proprio come quello di “The Circle Game”, un’altra canzone dell’immensa Joni.
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