I know now that I can’t make good
How I wish I could
Go back and put
Me where you stood
Nothing’s really something, now the whole thing’s soot

Si apre così “S P E Y S I D E”, primo singolo dei Bon Iver di Justin Vernon, nonché brano introduttivo del nuovo e breve EP “SABLE,”, la prima pubblicazione del gruppo a più di 5 anni di distanza dal famigerato “i, i”.

Vernon è un autore complesso, tormentato, che ha avuto modo a più riprese di entrare nei cuori degli ascoltatori con il suo cantautorato tanto sofferto e autoreferenziale, quanto obliquo e oscuro, ricco di metafore e frasi soggette all’interpretazione dell’ascoltatore. 

La sua figura sfuggente, inarrivabile, ma al contempo diretta, sofferente e “relatable” lo ha reso in brevissimo tempo un’icona musicale non solo della musica indipendente: nell’ultimo decennio, d’altronde, pochi artisti hanno saputo coniugare come lui la postura dimessa dell’indie-rocker con l’ambizione di traghettare il classico songwriting americano verso lidi nu-soul o comunque di ibridarlo con sonorità contemporanee, partendo dalla manipolazione della voce e cogliendo così uno dei marcatori principali del periodo.

Bon Iver - Holocene - Official Video

Justin è in grado di evolversi costantemente, passando dal songwriting chitarristico e sofferto di “For Emma, Forever Ago”, allo sforzo corale di “Bon Iver, Bon Iver”, dalle numerose collaborazioni nel mondo hip-hop, su tutte quelle con Kanye West, fino ai concerti che lo hanno visto calcare i palchi dei più grandi festival globali. 

Ma “Bon Iver” è anche il moniker dietro il quale Vernon si nasconde e col quale pone un velo di distanza tra sé e lo spettatore. Una ragione sociale dietro cui non si nasconde un’unica figura, ma che spesso si avvale di contributi corali come avvenuto in,  “22, A Million” (2016), riconosciuto come uno dei capolavori dello scorso decennio o in  “i, i”, un dichiarato elogio della coralità.

Bon Iver - 33 "GOD" - Official Video

La percezione pubblica di se stesso è sempre stata un problema per Vernon, che numerose volte ha mostrato segni di insofferenza verso lo showbiz e lo stress eccessivo: basti pensare o al tour di promozione di “22, A Million” (2016/17) annullato di punto in bianco con decine di date già esaurite, a alle lunghe pause tra un lavoro e l’altro o, ancora alle pochissime interviste rilasciate, lasciando che fosse la sua musica estremamente vulnerabile, l’unica espressione della sua sensibilità artistica.

Il silenzio stampa di un anno abbondante e la pubblicazione di “SABLE, ” corrispondono a detta dello stesso Vernon, alla chiusura di un cerchio, ma non a un “ritorno alle origini”.

I motivi di un distacco così netto dalla precedente produzione possono essere molteplici, uno tra questi potrebbe essere anche la necessità di scostarsi dall’immagine di menestrello del cantautorato elettronico attribuitagli dai giornali e dai fan, oppure una presa di consapevolezza dei propri limiti umani e musicali, che rendono i Bon Iver la creatura che ha saputo conquistare tantissimi, ma non sempre convincere o imporsi con determinazione. 

In una lunga intervista rilasciata per “New Yorker”, Vernon dichiara di sentirsi una persona diversa rispetto agli esordi, che non dimentica il suo passato e ciclicamente cerca di proporre un’interpretazione artistica differente dei suoi pensieri. 

Il passaggio a una produzione meno stratificata e incentrata sulla chitarra riflette una necessità nata in tempo di pandemie e lock-down.

“SABLE, ” è uno stato d’animo, un particolare colore nero, che rappresenta un vuoto, una presa di consapevolezza e una necessità di comunicare quanto appreso.

Tre semplici brani ridotti all’osso, spogliati del massimalismo elettronico e dei sintetizzatori, che esprimono necessità e urgenza.

“S P E Y S I D E”, il primo brano estratto, è pieno di senso di colpa e autocommiserazione, frutto di una presunta amicizia terminata. Non c’è più alcun simbolismo o rimasuglio delle precedenti opere, una chitarra e degli archi accompagnano il lamento di Vernon.

Il testo è uno dei più crudi e diretti scritti dal ragazzo del Wisconsin negli ultimi 10 anni, privo di metafore, numeri o riferimenti obliqui e poco chiari:

I can’t rest on no dynasty
Yeah, what is wrong with me?
Man, I’m so sorry
I got the best of me
I really damn been on such a violent spree

Bon Iver - S P E Y S I D E (Official Video)

Things Being Things Being Things” è un inno al conflitto interno e all’essere i peggiori nemici di se stessi, retto da un semplice arpeggio di chitarra acustica e una scheletrica batteria. 

I don’t like the way it’s, I don’t like the way it’s
I don’t like the way it’s looking
I can’t go through the motions, can’t go through the motions
How am I supposed to do this now?
I am afraid of changing
The way I look back makes me a competitor

I got caught compiling, I got caught compiling
I got caught compiling my own news
And I don’t like the way I’m, I don’t like the way I’m
I don’t like the way I’m looking
I got caught looking in the mirror
The way I look back makes me my own predator

AWARDS SEASON” è il brano conclusivo di questo breve e intenso EP e forse anche il più reminiscente delle sonorità corali di “Bon Iver, Bon Iver” del 2011, in cui una coda di sax accompagna Vernon per la seconda metà del brano.

Il risultato, merito anche di una produzione perfettamente a fuoco, effettuata dallo stesso Vernon insieme ai soci storici Jim E-Stack e BJ Burton, mette in evidenza in maniera ancora più accentuata il fine ultimo di “SABLE,”, un’introspezione e un forte desiderio di comunicare, oltre a una costante evoluzione sonora e personale.