Non capita spesso di assistere in diretta alla nascita e alla consacrazione di uno dei più grandi talenti della musica elettronica moderna. Né di vederlo celebrato e compreso, nonostante si esprima in maniera assolutamente libera nelle tantissime sfaccettature del proprio suono.
Il caso di Jerrylinn Patton (Gary, Indiana, 1987, proprio come qualcun altro di cui parlai un paio di anni fa), ex operaia metalmeccanica, in arte Jlin, ne è sicuramente un esempio, protagonista di una ricerca sonora sempre più affascinante, accompagnata – il che non guasta – da un’altrettanto brillante gestione della propria immagine pubblica, concessa alla stampa solo alle proprie condizioni.
Nata agli albori come massima esponente del genere footwork ed erede di RP Boo e del compianto DJ Rashad, Jlin si è rapidamente consacrata come pioniera della musica elettronica moderna, anche grazie alla guida di Mike Paradinas, che pubblica tutti i suoi lavori per la sua Planet Mu.
Se con “Dark Energy” del 2015 e “Black Origami” del 2017 Patton aveva portato il footwork verso vette inaspettate, sdoganando e imponendo il genere anche al di fuori dalla sua “nicchia di pertinenza”, grazie anche a contaminazioni con elementi Jazz e IDM, che non pregiudicavano però la vena di improvvisazione e “club-oriented”, dall’altra parte fin da subito era parsa percepibile nella musicista l’aspirazione verso un obiettivo superiore.
Dopo essersi rapidamente consacrata come astro nascente (“Black Origami” era stato suonato in anteprima da niente meno che Aphex Twin, che l’ha osannata a più riprese) e successivamente come pilastro dell’innovazione elettronica, Jlin ha infatti scelto di prendersi una pausa dalle pubblicazioni, per evolversi ulteriormente.
L’EP “Embryo” del 2021, ma soprattutto “Perspective” del 2023 (che le vale anche una candidatura per un Pulitzer) hanno mostrato una Jlin rinnovata che, alle folli poliritmie e alle vibrazioni da club, ha aggiunto sonorità più stratificate e ragionate, portando a compimento l’evoluzione del footwork.
Non è dato sapere se le numerose collaborazioni nel mondo della moda e del cinema che hanno coinvolto a più riprese Jlin abbiano contribuito a provocare un’assenza così prolungata dalle scene: sette anni di attesa sono un’infinità nel mondo digitale sempre più reminiscente e paurosamente simile all’“Infinite Jest”, ma possiamo dire che la Patton che nel 2024 pubblica il nuovo “Akoma” appare ancora più iconica e visionaria, capace di compiere il passo finale verso l’Olimpo della musica elettronica.
Nella realizzazione di “Akoma” spiccano tre collaborazioni: Björk, Kronos Quartet e la leggenda Philip Glass.
Se in “Borealis”, brano di apertura del disco, Björk funge da sample (o “found object”, termine con cui la stessa islandese ha definito la sua collaborazione coi Death Grips nel 2015), la vera svolta sonora inizia a percepirsi con la bellissima “Speed of Darkness”, dove le danze dei ghetti di Chicago si fondono con synth abrasivi e sonorità techno da club, complice l’uso sapiente di sample vocali e melodie upbeat, quasi reminiscenti degli Autechre di “Untilted”, “Chiastic Side” e “LP5” o dei più recenti lavori di Aphex Twin.
“Iris” è un altro chiaro esempio di evoluzione stilistica in cui, oltre ai complessi intrecci di tempi e percussioni, vi è anche un notevole lavoro sull’armonia e sulle melodie dei synth, in cui archi e ottoni accuratamente riprodotti offrono una grande spazialità e arricchiscono la narrazione delle percussioni.
L’influenza di Aphex e Autechre (in particolare dei secondi) è percepibile anche in “Open Canvas”, brano in cui linee di synth abrasive e taglienti si affiancano a fiati ed ottoni prettamente melodici, creando paesaggi sonori finora inesplorati dalla Patton, che sembra divertirsi a comporli, distruggerli e successivamente ricomporli, utilizzando linee di basso, sample di batteria e percussioni suonate in diretta.
Il viaggio di Akoma continua con i canti africani tradizionali di “Eye Am”, le casse gabber di “Auset”, gli archi vivisezionati del Kronos Quartet in “Sodalite” e la meravigliosa “The Precision of Infinity”, scritta a quattro mani con Philip Glass, che regala una cascata di note al pianoforte, che si sposa a meraviglia coi ritmi anti-intuitivi di Jlin.
Jerrylinn esplora strade mai percorse dai colleghi, non perdendo mai la visione d’insieme, le origini del proprio suono e garantendo una coesione che le consente di consegnare un progetto straordinario, capace di consacrarla nell’Olimpo della musica elettronica, sgusciando via da ogni definizione (IDM, Computer Music etc), in favore di una personalità ormai riconosciuta e celebrata.
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