Difficile trovare le parole per descrivere un musicista così importante nella storia della musica rock come Steve Albini: musicista, polemista, produttore… pardon… ingegnere del suono tra i più personali, prolifici e originali di sempre.

In occasione del piccolo festival organizzato dagli Uzeda per i loro “30 anni”, venivano ovviamente invitati anche gli Shellac di Albini. Su questo blog avevo provato a descrivere quell’esperienza, parlando del loro sound come del “… perfetto punto di incontro tra matematica e psichiatria. Albini era e resterà sempre il ragazzino nerd di vent’anni che ha inventato l’hardcore. Solo che adesso è un ragioniere occhialuto in maglietta bianca sdrucita che mette in evidenza i chili di troppo e le braccia magre, mentre tormenta una chitarra attaccata alla vita tramite una strana cintura. (…) insieme affrontano tetragoni un’audience con la quale riescono a creare un’empatia che ha dell’incredibile considerato quanto sia estrema la loro proposta musicale. Saranno i monologhi straniti e stranianti di Steve, il ruolo di guru suo malgrado o magari le orbite rovesciate e la teatralità di Trainer o ancora lo stile dimesso di Bob Weston (che dei tre sembra l’unico sano di mente), ma gli Shellac hanno in pugno il proprio pubblico. Passano dall’hardcore al math-rock senza soluzione di continuità in un massacro sonoro che prende tutte le cattive vibrazioni e tutta la violenza e le risputa sotto forma di musica geometrica, schizofrenica e in qualche modo positiva. In questa capacità di unire positivo e negativo, rabbia e catarsi, calcolo e anarchia sta da sempre la loro genialità”.

Ma scrivevo sull’onda dell’entusiasmo di un concerto indimenticabile…

Difficile trovare adesso le parole.

Meglio affidarsi a quelle di un altro vecchio “amico”, scomparso da alcuni anni ormai e che a Steve dedicava questa bellissima e dolente ballata.