“E’ da circa una settimana che sto lavorando a qualcosa che penso farò uscire in maniera molto veloce: ci sono gli instant book? Ecco, io vorrei pubblicare un istant disco. Una cosa maturata in queste settimane: volevo realizzare qualcosa che parlasse della Palestina, di Gaza, ma non sapevo bene cosa… alla fine mi sono imbarcato in questa specie di viaggio che vorrebbe essere una sorta di poema su disco, che mischia diverse fonti: da Mahmoud Darwish, un poeta palestinese morto qualche anno fa, molto bravo e interessante sia come poeta, che come storico perché ha cominciato a vivere la Nakba, l’esilio, fin da bambino, ai poeti arabi siciliani esiliati dopo la venuta dei Normanni e in generale alle canzoni di partenza della nostra tradizione popolare… chiaramente nessuna di queste tre cose sarà riconoscibile in “purezza”, però saranno tutte presenti, amalgamate attraverso il mio “sguardo”, registrate in massima parte con strumenti autocostruiti e presentate in una dimensione arcaica.”
Cesare Basile – Stralcio di conversazione
Per comprendere al meglio il nuovo bellissimo lavoro di Cesare Basile, “Saracena”, registrato in (quasi) totale solitudine dal musicista siciliano, bisogna considerare che, rispetto al precedente “Cummeddia”, sono passati non solo cinque anni e un disco fantasma (“Nivura Spoken”, che sarebbe dovuto uscire nel 2022 e avrebbe forse reso più graduale il passaggio verso le sonorità di “Saracena”), ma è anche definitivamente sbocciata in Cesare Basile la passione verso gli strumenti autocostruiti e artigianali, che fondono legno e circuito stampato, suono analogico e vibrazione acustica, rumore elettrico e battito ancestrale. Una ricerca che ha trovato in questo nuovo disco un primo documento artistico che, rispetto al succitato disco “fantasma” (spoken words affidati a sei voci femminili immerse in fondali noise e clangori industrial-blues), mostra come questi paesaggi sonori possano benissimo amalgamarsi alla scrittura di Cesare, le cui parole vengono felicemente portate vie da un flusso di musica che assume ora i contorni di una deriva noise ( i droni presenti in “Ciuri i Cutugni”) ora quelli di field recording che inglobano suggestioni tzigane (“Cappeddu a Mari”). La capacità di comunicare di Cesare rimane tra le più potenti ed efficaci della nostra canzone e ciò al di là della lingua scelta o delle interferenze elettroniche da cui viene trafitta (lo spoken di “Prisenti Assenti”, il motivo popolaresco di “Caliti Ciatu” o il canto da muezzin che unisce Sicilia e Medio Oriente in “U Iornu Do Signuri”).
Chi conosce bene la storia di Cesare , sa che la passione del musicista siciliano per la cura del suono nasce all’incirca nel 1998, quando, all’indomani della pubblicazione del secondo disco solista “Stereoscope”, un Basile non del tutto soddisfatto dalla resa sonora decideva di mettere in prima persona le mani dentro il “mortaio dell’alchimista”, cominciando a sperimentare in quel laboratorio che avrebbe poi preso il nome di “Zen Arcade”. Da quel momento, la sua ricerca si è mossa da un lato verso un costante apprendistato che mischia studio dell’armonia e perizia nella registrazione, dall’altro verso la riduzione ai minimi termini di entrambi i fattori, asciugando all’osso la struttura armonica dei brani e assegnando al nastro il compito di catturare, oltre alle note, anche il rumore di massa del mondo che le accoglie.
“Saracena” rappresenta pertanto l’esito attuale di una ricerca che non accenna a volersi fermare, mostrando con i suoi 25 minuti di musica apolide, colta nei riferimenti e profonda nei significati, politicamente schierata, ma mai didascalica, il luogo cui è giunto uno degli autori più importanti della “nostra” musica.
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