La prima domanda che mi è sorta all’annuncio di un nuovo disco di Julia Holter è stata: che direzione avrà preso la sua musica questa volta? L’artista americana si è infatti distinta per approcci spesso differenti, soprattutto negli ultimi lavori:  dal suono notturno e soffuso di “Loud City Songs” alle sperimentazioni dell’imponente doppio “Aviary”, passando per la forma più pop e immediata (quanto meno per i canoni di Holter) di “Have You in my wilderness”.
Oltretutto la pubblicazione di un nuovo disco a distanza di ben sei anni dal precedente ha contribuito non poco ad aumentare la curiosità, a maggior ragione in virtù di un ingombrante e ambizioso predecessore come “Aviary”: ci si domandava se “Something In The Room She Moves” avrebbe approfondito e portato alle estreme conseguenze lo sperimentalismo del disco del 2018 oppure avrebbe  ripreso un percorso focalizzato più sulla canzone. 

Il primo singolo (nonché brano di apertura dell’album) “Sun Girl” non svelava l’arcano, ma anzi alimentava ancora di più i dubbi, presentandosi come un piccolo enigma musicale sotto forma di ritmiche fratturate, svolazzi di fiato, linee di basso alla Mick Karn, un assortimento di suoni vari sparsi e un ritornello che si dispiega come un sorta di filastrocca. Il tutto con una struttura frammentaria che alterna, in maniera spiazzante, stasi e movimento senza fornire un appiglio certo all’ascoltatore. In definitiva un brano tanto misterioso quanto affascinante.

Prima di addentrarci nell’ascolto di “Something In The Room She Moves” e di coglierne le possibili chiavi di lettura, occorre però fare prima un passo indietro, al fine di scorgere come spesso la discografia della musicista sia stata governata ed orientata da un meccanismo di azione/reazione.
E dunque se“Aviary”, album doppio del 2018, poteva apparire come una reazione all’immediatezza di “Have You in my wilderness”, figlio della scelta di assecondare la propria piena creativa lasciandola fluire in un’ondata alluvionale che travolge  tutto e tutti, così il nuovo album sembra porsi in opposizione al suo predecessore: ossia un’opera dove allo  slancio creativo in libertà viene preferita la sintesi, privilegiando la forma canzone rispetto alla sperimentazione free form.

La forza di “Something In The Room She Moves” sta proprio nel ricordarci che seppure in maniera atipica, Holter è prima di tutto una cantautrice, capace di affiancare una scrittura di qualità cristallina alle ambizioni sperimentali.

E l’album non perde tempo nel mettere in mostra le doti dell’autrice. Al puzzle musicale di “Sun Girl” fanno seguito infatti due brani superbi dove emerge con forza la tipica obliquità autoriale dell’artista californiana: la sua è infatti una scrittura elusiva, che non cerca mai di conquistare l’ascoltatore tramite una melodia accattivante, ma lo ghermisce attraverso linee sinuose, in una struttura che spesso annulla la classica bipartizione strofa/ritornello, rappresentando spesso quest’ultimo la perfetta conclusione della strofa senza soluzione di continuità.
“These morning” con un fraseggio che culmina nella ripetizione suggestiva del verso “just lie to me” ne è un ottima dimostrazione.  E lo è ancora di più quel piccolo capolavoro rappresentato dalla title track: una perfetta sintesi delle strategie autoriali di Holter, nel quale il cantato aereo e sfuggente disegna raffinate volute melodiche, infiorettate da celestiali e stranianti fraseggi di sax e flauto.

Something in the Room She Moves

Questi brani mettono in evidenza le caratteristiche sonore scelte in sede di produzione e che rappresentano le fondamenta sulle quali è costruito l’album: una sorta di bambagia sonora costituita dal piano elettrico (vero e proprio pilastro del disco), ma anche da una varietà di strumenti a fiato sulla quale galleggia la voce della Holter. Il tutto avvolto da un riverbero che conferisce all’insieme una dimensione onirica e magica.
Ne è un fulgido esempio la dolce e ipnotica ballata conclusiva “Who brings me”, che si avvale anche dell’intervento straniante di un violoncello. Strumento che ritroviamo nell’atmosferico strumentale “Ocean”, un acquerello ambientale con suggestioni cameristiche, che costituisce un placido e sognante intermezzo che ben si adatta all’atmosfera del disco.
“Materia” invece mette al centro i due assoluti protagonisti di “Something In The Room She Moves”, il piano elettrico e la voce dell’autrice, privilegiando per una volta un suono scheletrico nel quale pause, silenzio e il consueto riverbero fanno da co-protagonisti.

Ma, assieme alla suddetta title track, l’apice del disco dal punto di vista della perfezione formale e produttiva risulta essere “Evening Moods”: sei minuti poetici e sospesi, dove la magica melodia viene avvolta e accompagnata da incantati controcanti, tappeti di tastiere crepuscolari, delicati interventi di basso fretless, un magico assolo di clarinetto, vortici di flauti fatati, in un insieme che non si può che definire come “trascendente”.

Julia Holter - Evening Mood (Official Video)

“Spinning”, un altro dei vertici del disco, rappresenta invece il lato più inquieto del lavoro con una batteria insistente e sincopata a fare da supporto al cantato di Holter, accompagnato da arabeschi sottilmente free disegnati dal sax.
Talking to the whisper” vive delle medesime atmosfere con i controtempi di un drumming quasi marziale, intrecci free di fiati punteggiati da pause suggestive, fino al maestoso e caotico crescendo dominato dal sax.

Abbiamo lasciato volutamente per ultimo l’unico episodio che riporta apertamente alla dimensione sperimentale, in particolare quella vocale, di “Aviary”, ovvero “Meyou”; si tratta di un brano corale costruito esclusivamente sui vocalizzi di Holter e delle ospiti Mia Doi Todd e Ramona Gonzales e che si sviluppa per ondate sonore, in un alternarsi di pieni e vuoti. Se da un lato “Meyou” può apparire fuori luogo nel contesto di un album focalizzato sulle canzoni, in realtà condivide con il resto dei brani un’intima atmosfera onirica e sospesa. Inoltre la collocazione nella tracklist prima di “Spinning”, il brano più materico del disco, va a creare un contrasto che funziona perfettamente nella dinamica della scaletta. 

“Something In The Room She Moves” è dunque un disco costituito da una materia morbida all’apparenza, ma che si rivela piena di sostanza. Un lavoro perfettamente a fuoco, che mette in evidenza soprattutto la ormai conclamata maturità della scrittura di Holter e una produzione capace di assecondare perfettamente la vena creativa dell’autrice. Inoltre l’album cela dietro le sue articolate sonorità una perfetta integrazione tra le ambizioni autoriali e quelle sperimentali, che, seppur in misura minore rispetto ad “Aviary”, non vengono affatto accantonate, ma sottilmente iniettate all’interno della forma canzone sulla quale si fonda l’opera.