Caduti steccati e separazioni tra i generi, i nuovi musicisti non possono che muoversi in un contesto liquido, in cui ogni elemento musicale rappresenta un plausibile ingrediente per la propria ricetta sonora. Che ad attuare una delle migliori sintesi tra i suoni che il catalogo attuale presenta sia una musicista non più giovanissima come Kim Gordon non dovrebbe sorprendere più di tanto, considerato che si tratta di uno di quegli artisti che quelle barriere ha contribuito a farle cadere. “The Collective” è un disco che mischia chitarre noise, ritmi hip-hop e trap, rumorismi industrial e resuscita il genio di artisti come Alan Vega, uno che su fondali plumbei e contaminati ha sempre raccontato storie che non tutti avevano voglia di ascoltare.
Nel post Sonic Youth, Kim si era abbandonata più volte a un’estasi chitarristica che nel gruppo madre aveva inseguito a lungo (e che aveva trovato paradossalmente in maniera stabile solo nell’ultimo lavoro “The Eternals”). Nel progetto Body/Head, ma anche nelle uscite con Loren Connors e nel progetto Glitterbust, le visioni chitarristiche di Kim avevano trovato spazio e modo di esprimersi in maniera però a volte estenuante e autoindulgente e, siccome tradire è spesso la maniera migliore per restare fedeli allo spirito della propria visione, nel momento esatto in cui Kim ha spostato il focus dalle (tanto agognate?) chitarre verso un sound più trasversale ai generi, ha trovato la quadratura del cerchio ed ha consegnato quello che – almeno fino ad oggi – è il suo lavoro migliore.
Possiamo così etichettare un lavoro che racconta molto efficacemente le nevrosi urbane di oggi, mescolando molteplici e disparate componenti musicali, moderne e antiche, mainstream e avant, in equilibrio mirabile. Un’operazione intellettuale in grado di sporcarsi le mani e di rischiarsi sulla pelle accuse di “appropriazione culturale” anagrafica e allo stesso tempo di allontanarle in forza di una visione musicale forte e personale. Un risultato che è anche il risultato del felice incontro tra le due personalità della Gordon e del produttore Justin Raisen (Lil Yachty, John Cale, Yeah Yeah Yeahs, Charli XCX, Yves Tumor), che incarnano i due poli (se vogliamo antico e moderno) della faccenda e che alla loro seconda collaborazione hanno trovato il punto di incontro perfetto.
La collaborazione tra i due era infatti cominciata nel 2020 con l’album precedente, “No Home Record”, un disco che sanciva – dopo i lavori sperimentali prima citati – il ritorno della Gordon alla forma-canzone, seppure informata da uno spirito avant e modernista. Pur non disdegnando episodi in classico stile alternative rock “anni 90”, “No Home Record” mostrava un lato inedito dell’artista newyorchese, grazie appunto alla partnership artistica con Justin Raisen (co-compositore di 6 brani) che indirizzava l’anelito sperimentale di Kim verso un suono sempre sperimentale, ma al tempo stesso moderno e al passo con i tempi.
Una scelta assolutamente felice dal punto di vista artistico, che si ripete in questo nuovo lavoro.
Ne beneficiano brani come “Bye Bye”, le cui ritmiche trip hop avanzano così scure e vischiose da entrare in zona dubstep o come “The Candy House”, che procede oscura tra frattaglie sonore in odore di trap e una vocalità malevola degna del già citato Alan Vega; che fa capolino anche nell’andamento pachidermico che rende industrial le scansioni hip hop di “I Don’t Miss My Mind”.
L’eclettica tavolozza di colori del duo trova una perfetta sintesi nel muro di synth con andamento trap di “I’m a Man”, nell’indole rock n roll e nell’utilizzo quasi cromatico dell’autotune di “Trophies” e, infine, nei bassi pesanti e nelle chitarre dritte di “Psychedelic Orgasm”, in cui la componente trap viene utilizzata per raggiungere un effetto finale di psichedelia.
Ma più che soffermarsi sui singoli episodi, colpisce la natura monolitica del disco, che incarna il maggior pregio, ma forse anche l’unico limite del lavoro: se da un lato, infatti, “The Collective” affascina per la sua omogeneità e compattezza, dall’altro sembra stentare a far emergere brani capaci di “increspare” l’ascolto del disco e proporsi come summa e paradigma dell’efficacissima sintesi sonora raggiunta.
E, se è pur vero che procedendo con gli ascolti, emergono con chiarezza le specificità dei singoli brani, per gridare al capolavoro, preferiamo attendere Kim al prossimo giro, sperando che in futuro si registri un’ulteriore crescita artistica, capace di perfezionare, sotto il profilo della scrittura dei pezzi, la formula che già in “The Collective” si mostra come eccitante e ben riuscita.
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