Come ormai ad ogni Ottobre, ROBOT Festival si ripresenta puntuale, forte del suo status di realtà imprescindibile nella nostra programmazione concertistica.

Giunta ormai alla 14esima edizione, la kermesse bolognese aumenta il proprio gradiente politico, annunciando tramite un manifesto il tema conduttore della manifestazione ispirato al concetto di “dissidanza”. Nel manifesto si ripercorre la storia della danza e del party nel contesto socio-politico della seconda metà del ‘900, dalla NY del ‘68, alla “Second Summer of Love”, dai rave a Tbilisi, fino a giungere a una attualità, in cui appare semprepiù importante resistere alle forze gentrificatrici del progresso, formando alleanze tra culture ed individui.

Come si addice da sempre a questo festival, non è solo la cassa dritta il leitmotiv del weekend, ma viene infatti stilato un programma ricchissimo di conferenze, installazioni ed esibizioni che spaziano in tutto il mare magnum della musica elettronica moderna.

La line-up è figlia di questo desiderio di commistione culturale espresso dagli organizzatori, e consta di diversi nomi caldissimi: Amnesia Scanner, Clark, Helena Hauff, Tim Hecker, DJ Python, Skee Mask, Shackleton e il sempiterno Jeff Mills sono solo alcuni dei nomi coinvolti nelle tre serate.
La scelta risulta estremamente raffinata e non sente minimamente il confronto con le edizioni passate della manifestazione, in cui – tra gli altri – sono passati anche Autechre, Squarepusher, Koreless, Alessandro Cortini, Ben Frost, Biosphere e tantissimi altri.

Abbiamo avuto modo di presenziare ai due grandi eventi di Venerdì 13 e Sabato 14 Ottobre presso DumBO e TPO, i principali luoghi di aggregazione che da anni ospitano il festival, oltre che allo speciale show di Tim Hecker presso l’Oratorio San Filippo Neri.

In particolare, la serata inaugurale del festival (escludendo gli eventi preparatori, come il live degli Holy Tongue Giovedì 12) è degna di qualsiasi festival europeo di musica elettronica, se non addirittura superiore…
Tutti i grandi nomi della kermesse (o quasi) erano concentrati in questa prima serata, e quasi tutti i set sono stati di livello altissimo, in particolare DJ Python e la leggenda di Detroit Jeff Mills, che in chiusura sul main stage si dimostra come al solito incapace di sbagliare il proprio set: dopo il bellissimo set al C2C dello scorso Novembre, Mills non delude e regala circa due ore di techno tribale ed esplosiva al pubblico del DumBO, che esce estasiato e si prepara per il giorno successivo.

Rimandati a settembre la danese Courtesy (la sua techno revival non funziona troppo dal vivo e sembra parodisticamente nostalgica) e la strana coppia anglo-nipponica Shackleton + Scotch Rolex.
I due riprendono i brani del recente joint album “Death by Tickling” e improvvisano in una lunga jam che spazia dalla dub alla techno e che – tra qualche picco e (purtroppo) numerosi bassi – sembra difettare di coesione di capacità di coinvolgere il pubblico..

La grandezza della lineup comporta anche delle scelte, e la nostra mancata ubiquità non ci permette di assistere agli show di Amnesia Scanner e Helena Hauff, con grande rammarico.

La giornata di sabato è caratterizzata non solo dal secondo show, ma anche dal live evento di Tim Hecker, nella cornice dell’Oratorio San Filippo Neri, in una bellissima chiesa gotica sconsacrata.

Il canadese torna in Italia per due appuntamenti (tre, contando la data milanese) per uno show esclusivo e a suo modo irripetibile.
Il live, realizzato tramite una combinazione di strumenti digitali ed analogici (scorgiamo un mixer analogico multitraccia, dei pedali, ampli per chitarra/basso, nonché il classico Mac con Ableton) di poco più di un’ora, ripercorre la carriera di Hecker dagli albori fino al recentissimo “No Highs”, intervallato da jam elettroniche rumorosissime, reminiscenti del capolavoro “Ravedeath, 1972”.
La cornice della chiesa aumenta l’immersività dello show e contribuisce a creare uno stato di trance collettivo dal quale si viene risvegliati con una brusca e voluta chiusura, che congeda il pubblico, riportandolo sul piano terreno.

La seconda serata procede senza intoppi, con una prevalenza di musiche meno ballabili, ma non per questo meno interessanti.
Notevoli le prestazioni del veterano inglese Clark, salito alla ribalta dopo una carriera pluridecennale con l’ottimo “Sus Dog”, headliner per nulla scontato, eppure assolutamente meritevole nella sua interpretazione pop/elettronica.

Da sottolineare anche la chiusura affidata al bombardamento techno del bavarese Bryan Müller, in arte Skee Mask, inserito all’ultimo in una lineup sorprendente.

Ci era capitato l’anno scorso di muovere alcune critiche all’impianto di DumBO, non esente da problemi, e alla poca vivibilità del palco principale, dovuta alla particolare conformazione dell’edificio principale: problemi risolti grazie all’introduzione di un secondo, grande palco all’interno di DumBO e di diverse aree di aggregazione.

ROBOT Festival si conferma ancora un’esperienza totalizzante, in grado di coinvolgere un vasto pubblico (si stimano circa 7.300 spettatori paganti) e di competere con eventi analoghi in ambito europeo.
Può sembrare quasi forzato il paragone col torinese C2C (stesso periodo dell’anno e stesso stile di selezione musicale), ma l’identità di ROBOT è una componente fondamentale di questo festival, così come la possibilità di vivere la città e interagirci all’interno di un contesto giovane, dinamico ma altrettanto ricercato.

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