Da vecchi fan degli Sparks , registriamo da alcuni anni, più che a un rinascita artistica, a un rinnovato interesse di critica e pubblico verso la band dei fratelli Mael. Parlare di rinascita artistica sarebbe infatti assolutamente ingeneroso riferito a una band che, a partire da quei primi passi mossi come Halfnelson nel 1971, ha inanellato tantissimi lavori di pregio, conoscendo di contro pochissimi cedimenti.

Per quanto ci riguarda, dunque, l’uscita del bellissimo “The Girl Is Crying in Her Latte” é solo il 26esimo album degli Sparks, accasatasi per l’occasione proprio presso quella Island Records, presso cui negli anni settanta venivano pubblicati i lavori di maggior successo commerciale del duo, nonché quelli che li iscrivevano alla storia maggiore del rock.

Una suggestione mica male, dunque, cui i fratellini hanno risposto con un lavoro che si avvia a diventare il quinto (o forse sesto) capolavoro della propria carriera. Affermazione forte? Facciamo un po’ il punto, allora… 

Parlando di capolavori, non possiamo che cominciare dal terzo album della band (datato 1974, nonché debutto per la Island Record), Kimono My House, pietra miliare del glam rock, nonché apice che incredibilmente – soltanto l’anno successivo – veniva replicato e per molti superato da Indiscreet, prodotto da Tony Visconti. Un uno-due impressionante per inventiva e ispirazione pirotecnica, che attuava una vera e propria rivoluzione nel modo di affrontare la scrittura rock.

Uno sforzo creativo che non prosciugava le forze artistiche degli Sparks che, nel 1979, si facevano matrice e paradigma di ogni duo elettronico che sarebbe venuto in seguito (negli eighties saranno in tanti ad adottare questa formazione e in pochi riconosceranno il debito…): con l’aiuto di Giorgio Moroder, gli Sparks pubblicano il celestiale No.1 in Heaven, lavoro all’epoca bistrattato dalla critica (l’onnipotente – all’epoca – NME lo etichettava come un “dramma disco pseudo europeo ridondante”) e che ancora oggi a nostro avviso non gode della considerazione che meriterebbe. Prima del successivo capolavoro, seguono anni altalenanti, ma mai privi di interesse: dal saltellante Music You Can Dance To ai sorprendenti Gratuitous Sax e Senseless Violins (che presentano persino influenze techno), fino a lavori meno felici come l’insolitamente cupo Pulling Rabbits out of a Hat o Interior Design del 1988 (lavori comunque lontani dai disastri che la loro reputazione potrebbe suggerire).  Poi, nel 2002, gli Sparks si reinventavano con abbagliante originalità nel capolavoro art-pop neoclassico Lil’ Beethoven. Se abbiamo fatto bene i conti sono dunque quattro i capolavori di questi “eterni secondi” che, alla stregua di un Raymond Poulidor, almeno da un punto di vista commerciale vivranno solo brevi momenti di gloria e celebrità: successi fugaci in Francia, Germania (dove i nostri coglievano un grande grande successo con “When do I get to sing My Way” anche se i fratelli hanno dichiarato che i tedeschi non hanno capito per nulla  la canzone…) e persino nel Regno Unito e nei cari vecchi Stati Uniti (d’altronde: nemo propheta in patria..).

Incredibilmente, la vera età dell’oro per gli Sparks sembra essere proprio quella attuale con i due fratellini che da Raymond Poulidor sembrano essersi tramutati in Eddy Merckx (o forse in Van der Poel, visto il nesso familiare con Poulidor…).

Dopo il trionfo di Hippopotamus (2017), il consolidamento di A Steady Drip, Drip, Drip (2020), entrambi Top 10 in Regno Unito; dopo la sceneggiatura per il film “Annette”, del leggendario Leo Carax e il documentario a loro dedicato dall’ottimo Edgar Wright (The Sparks Brothers, 2021), giunge adesso The Girl Is Crying In Her Latte, in cui i Maels non lasciano nulla al caso, consegnando un disco in cui le “scintille” non solo sono all’altezza delle aspettative, ma le superano, proponendo un suono allo stesso classico e vintage, ma anche più duro ed elettronico rispetto alle recenti prove.

La forma del gruppo risulta evidente fin dal brano che titola il disco, che apre le danze con una distorsione increspata, una strofa ripetitiva e impassibile e un ritornello, percussivo e scintillante, che adombra però nel testo (“Così tante persone piangono nel loro latte”) una tristezza diffusa, che evidenzia subito la cifra espressiva del disco, che continuerà a muoversi su più livelli di senso, spesso contrapponendo atmosfere frizzanti a riflessioni profonde. Un brano profondamente immaginifico, supportato da un video virale, in odore di hipsterismo, con l’attrice Cate Blanchett che balla in modo irregolare con le cuffie e un brillante abito giallo.

Sparks - The Girl Is Crying In Her Latte

Il talento per la narrazione prosegue nell’ode alla femme fatale hollywoodiana “Veronica Lake“, attrice di noir degli anni ’40, celebrata in un brano per synth sinuosi, in odore di eighties lussureggianti, e un’interpretazione di Russell, perfettamente calibrata tra ritmo e melodia, a raccontare una storia ammonitrice di ragazze desiderose di vivere le fantasie di Hollywood.

Nothing Is Good As They Say It Is” è un capolavoro di ironia sparksiana e racconta la vicenda di un bambino di 22 ore che –  su un tappeto di chitarre post-punk e percussioni incessanti  – chiede di essere riammesso nel grembo materno perché già stanco alla vista di “bruttezza, ansia, finta abbronzatura” (come dargli torto?). Il brano è un gioco glam che si nutre del contrasto tra forma e contenuto, tra la riflessione sarcastica (ma amarissima) e la melodia da cabaret, appiccicosa e piena di hook

Escalator” torna in territori synth-pop con una circolarità avvolgente e wave che funge da trampolino per uno degli apici del disco “Mona Lisa’s Packing Leaving Late Tonight”: brano perfetto per mostrare al neofita cosa intendiamo quando sosteniamo che i fratelli Mael sono capaci di fondere pop senza tempo, scrittura acida e arrangiamenti immaginifici! Il tutto mettendo in musica un racconto letterario che potrebbe stare in piedi da solo…

D’altronde l’ironia fulminante dei testi degli Sparks meriterebbe un trattato a parte e anche in questo disco fa bella mostra di sé, come nelle banalità messe in discussione di “You Were Meant for Me” (“Turn the pages/How does this all end?”), negli assolutismi ambiguamente negati nella splendida “Not That Well Defined” (“Things are either black or they are white/Things are either wrong or they are right,” “Le cose o sono nere o sono bianche / Le cose o sono sbagliate o sono giuste”) o ancora nella vicenda paradossale raccontata in “When you Leave”, che narra di ospiti fastidiosi, impossibili da cacciare di casa (“ They’ll be breaking out the Courvoiser when you leave” , “They will be talking behind you back when you leave”,“They will be swingin from the chandeliers when you leave), nella battuta fulminante (“Gee, if I had known, I’d have been less on my phone”) della quasi beatlesiana “Gee, That Was Fun” o, infine, nell’inquietante “A love Story” in cui Russell cerca di acquistare droghe per la sua ragazza in un loop infinito (“Ain´t my thing, it’s her thing” – “Non è roba mia, é roba sua”).

Sparks - Not That Well-Defined (Lyric Video)

L’ultimo momento clou è poi “It Doesn’t Have to Be That Way“, sincera dichiarazione di anti convenzionalità, nonché una delle migliori canzoni di sempre della band: diretta e agrodolce, vede i fratellini fare i conti con i propri limiti, la propria natura e tutte le idiosincrasie che da anni si portano dietro (“I’ll look the fool ,I’ll pay for it, I’ll pay for it“).

The Girl Is Crying In Her Latte” è un album fantastico. Certamente uno dei migliori di una carriera che va avanti da ormai cinquant’anni.

Senza nessun segno di cedimento o stanchezza,  Russell e Ron Mael continuano a crescere e svilupparsi: consapevoli degli stili attuali, riescono – come da cinquant’anni a questa parte – a creare i propri suoni, personali e meravigliosi, dando forma a un mondo surreale e assurdo, in cui si sovrappongono composizioni classiche e ritmi disco e in cui l’umorismo viene utilizzato come una pala con cui scandagliare la profondità delle cose.

Un lavoro che conferma come quello attuale sia davvero un altro dei momenti clou della carriera del gruppo e che si pone all’altezza dei capolavori della band: Propaganda, Kimono My House, No.1 in Heaven, A steady Drip, Drip, Drip o qualunque sia il vostro disco preferito.

Giungere al traguardo del 26esimo disco è già ammirevole di suo, ma farlo con la classe e quel senso di noncurante talento che da anni accompagna ogni opera del duo sfugge davvero a ogni catalogazione.