Se l’hip-hop ha finito per fagocitare buona parte del cosiddetto mainstream, parte del merito va ascritto anche a una scena underground fervida e vitale, che continua a produrre artisti, come i due di cui vogliamo parlarvi oggi e che possiamo definire “di nicchia” per via della loro visione e del loro approccio al genere.
Non per caso abbiamo già colto l’occasione di parlare di diverse figure cardinali di questo vastissimo mondo underground, tra cui Billy Woods, Freddie Gibbs o il compianto MF DOOM, passando per altri come R.A.P. Ferreira, Elucid o Cities Aviv.
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JPEGMAFIA (all’anagrafe Barrington DeVaughn Hendricks, NY, 1989) e Danny Brown (Daniel Sewell, Detroit, 1981) sono due figure quasi leggendarie nel mondo underground: individualiste al punto da non essere mai state accomunate (o risultare accomunabili), ad altri colleghi, ma allo stesso tempo, grazie al loro gusto per la sperimentazione, capaci di influenzare il genere con una forza di impatto paragonabile a quello avuto dai Death Grips nei primi anni ‘10 o, successivamente, dai clipping.
Avrei numerose difficoltà ad annoverare altri artisti così divisivi, fedeli al genere, multiculturali e capaci al contempo di trarre linfa dalle più disparate influenze.
Ma ricapitoliamo come si siano incrociate le strade di questi due figuri, e anche magari i loro migliori risultati.
JPEGMAFIA esordisce nel 2013 con “The Ghost~Pop Tape”, pubblicato con lo pseudonimo Devon Hendryx. Si tratta di un album totalmente autoprodotto che combina le sonorità vaporwave del momento con dei beat lo-fi e un rappato stralunato e tecnico, che inizia a definire da subito le cifre stilistiche del nativo di New York City.
E’ però con “Black Ben Carson” nel 2016 che nasce ufficialmente il mito di JPEGMAFIA: si tratta quasi di un attentato terroristico all’hip-hop dei tempi, dove il riferimento principale sono Throbbing Gristle di “20 Jazz Funk Greats”.
Un’ora abbondante di rap di ispirazione noise e industriale, abrasivo, violento, dove i beat ricordano gli Autechre più caotici, ma non si negano anche ispirazioni dubstep e dance:
Un approccio violento e sperimentale, quasi “warpiano”, che proietta Peggy (nomignolo che lui stesso usa) nelle grazie dei fan dell’hip-hop più dissonante e divisivo, tanto che il suo nome viene accomunato a quello di MC Ride e soci, già reduci da capisaldi come “Exmilitary” e “The Money Store”.
“Black Ben Carson” è solo l’inizio di una carriera caratterizzata da continue fasi di sperimentazione e composizione: Peggy è noto per il suo stacanovismo, che lo porta a confezionare da solo tutti i suoi lavori, dalle voci ai beat al mix&master.
“Veteran” del 2018 è il degno seguito di “Black Ben Carson” e continua la decostruzione dell’hip-hop a colpi di rumore ed elettronica.
Il picco è la geniale “Real Nega”, in cui un celebre sample di Ol’ Dirty Bastard viene utilizzato in maniera atipica:
Il 2019 è l’anno della svolta: Peggy firma con EQT, succursale meno nota di Universal, entrando così ufficialmente nel mondo major. Ne vengono fuori due dischi: il primo è “All My Heroes Are Cornballs” (contenente, tra gli altri, anche i contributi di Jeff Tweedy, James Blake e Flume) nel 2019, seguito da “LP!” nel 2021, entrambi autoprodotti e entrambi – come di consueto – autocelebrativi.
“LP!” è però l’ultimo capitolo di Hendricks per una major. Il rapporto tra il musicista e la EQT si deteriora presto, con il primo che afferma senza mezzi termini come l’etichetta sia stata di intralcio nella realizzazione del disco, rifiutandosi di “pulire” (NDR: prendere accordi coi titolari per un uso lecito) alcuni sample, inserendo alcuni feat forzati e modificando il master finale.
Il risultato finale è duplice: esistono una versione “Online” del disco, quella ufficiale e pubblicata da EQT, e una “Offline”, la versione che Peggy voleva pubblicare, disponibile gratuitamente su Bandcamp.
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Danny Brown è anch’egli un rapper atipico, con un timbro estremamente riconoscibile e un gusto per le produzioni che si rifà all’immaginario rock ed elettronico.
Non è un caso che, dopo il successo di “XXX” (2011) e “Old” (2013), Danny firmi con Warp, diventando così uno dei pochissimi rapper nel roster del colosso inglese, se non l’unico.
“Atrocity Exhibition” del 2016 è forse il magnum opus di Brown, che confeziona un album ricercatissimo nei suoni e nella vocalità.
“uknowhatimsayin¿” del 2019, prodotto interamente da Q-Tip, torna ad un approccio più classico, ma ha l’unica colpa di uscire poco prima della pandemia e passare conseguentemente in sordina.
In numerose interviste e podcast Brown ha poi lasciato intendere che Warp stia posticipando il suo nuovo lavoro, intitolato “Quaranta” (previsto per il 2021) da circa due anni, e di sentirsi per questo frustrato e disilluso… Una delusione che sembra averlo da subito accomunato con JPEGMAFIA, reduce anche lui – come detto – da una cattiva esperienza in major e da una cattiva art direction.
La collaborazione tra i due nasce dunque dalla disillusione e dalla voglia di realizzare musica senza limiti e senza la presenza di uomini incravattati, pronti a sindacare su qualsiasi scelta stilistica.
“SCARING THE HOES” è il primo capitolo della collaborazione tra i due ed è un album caustico, delirante e che non dà alcun tipo di riferimento.
Si alternano costantemente linee melodiche differenti, cambi di tempo e di beat, sample appartenenti a generi e culture differenti, synth rumorosi e ritmi complessi.
Non mancano esperimenti distorti e rumoreggianti, come “Lean Beef Patty”, “Jack Harlow Combo Meal”, “Fentanyl Tester” o “Steppa Pig”, ma anche rimandi al soul e alla tradizione (in particolare all’amatissimo LL Cool J o a Kelis). Brani come “HOE”, “God Loves You” e “Orange Juice Jones”, con le loro sonorità più acustiche e gli accenti sulla melodia e sul cantato, smorzano la violenza delirante del disco e, al contempo, lo rendono maggiormente variegato, pur senza rinunciare a una notevole coerenza interna.
Dopotutto, se é vero che sia Peggy che Brown hanno sempre mostrato uno spirito sperimentale e di rottura nei confronti dell’industria, i due musicistinon hanno mai nascosto il proprio amore per le radici della black music, e non è un caso che – in mezzo all’elettronica, ai sample distorti tratti da videogiochi e anime o da album di musica metal – il soul non manchi mai e componga sempre alcune delle tracce portanti.
In definitiva, possiamo dire che i due hanno messo tantissima carne al fuoco, meritando in parte le accuse di mancata concisione, ma possiamo anche aggiungere che è raro trovarsi di fronte lavori di simile complessità nel mondo hip-hop moderno, sempre più vittima di una sindrome da fast food e di una macchina dell’hype ormai impossibile da sostenere.
E’ decisamente apprezzabile la scelta di pubblicare un lavoro in maniera totalmente indipendente, lontano dalle major che tanto hanno condizionato la carriera dei due, e di optare per un sound oscuro, forse poco raffinato e talvolta anche confusionario (il mix ha più di un problema, anche solo nei livelli delle voci, che per quanto si vogliano tenere basse a volte sono quasi indistinguibili, almeno nelle prime ore di vita del disco), ma che rifletta totalmente lo stato attuale dell’hip-hop moderno.
JPEGMAFIA e Danny Brown dimostrano come si possa produrre un album di livello senza l’appoggio delle multinazionali, senza grandi capitali e senza enormi spese pubblicitarie alle spalle, e anche come si possa trarre successo e profitto dalle proprie abilità e dalla libertà artistica senza dover necessariamente condividere gran parte della torta.
Non è dato sapere se “SCARING THE HOES Vol. 1” rappresenti il preludio a una eventuale seconda collaborazione tra i due, ma la speranza che non si tratti solo di un’occasione estemporanea, per quanto sfruttata al meglio, rimane.
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