A poco più di un anno dall’ottimo “Let your garden sleep in”, il duo romano Sterbus formato da Emanuele Sterbini e Dominique D’avanzo (vecchie conoscenze da queste parti), ha pubblicato una raccolta di brani strumentali intitolata “Solar Barbecue”.
L’album era stato ideato in origine per essere allegato come disco bonus all’edizione limitata di “Let your garden sleep in”, ma il progetto iniziale era poi saltato per questioni logistiche.
L’idea rispondeva a una logica ben precisa: quella di mostrare tutti i lati artistici del multiforme duo e “controbilanciare” la dimensione più marcatamente pop del lavoro principale, con quella più eccentrica e fuori dagli schemi degli strumentali del disco aggiunto.
Certo l’abbinamento avrebbe senz’altro funzionato, ma si sarebbe corso il rischio che “Solar Barbecue” passasse sotto traccia come un’appendice o un puro divertissement; il classico bonus da un ascolto e via, che qualcuno avrebbe potuto addirittura classificare come una compensazione per i fan della prima ora, a mo’ di “excusatio non petita” per l’eccessiva linearità melodica del disco.
Diciamolo subito dunque: alla prova dei fatti, “Solar Barbecue” dimostra assolutamente di meritare uno spazio tutto proprio. Lungi dall’essere una semplice stravaganza o un pegno pagato ai cultori del lato più stravagante del duo, il disco rivela piuttosto il livello di “incontinenza creativa” di cui soffre Emanuele Sterbini: ascoltatore e musicista onnivoro, incapace di incanalare la propria scrittura all’interno di un unico binario, tanto che non stupisce ed anzi appare quasi fisiologico che, dopo le delizie pop di “Let your garden sleep in”, faccia seguito un lavoro che si colloca in ambito (scusate la parolaccia) prog (ndr. working title come “Sheila is a Prog-Rocker” o “Silly Prog songs” dicono già tutto…). Non per niente già nel disco precedente gli era “scappato” il vivace intermezzo strumentale di “Stalking Heads”…
La musica di Sterbus è una creatura poliedrica e polimorfica che si muove, spesso anche all’interno dello stesso brano, all’interno di un sistema di riferimenti amplissimo, che va, grosso modo, da Zappa ai Guided by Voices, passando praticamente per tutto ciò che sta in mezzo, con Tim Smith dei Cardiacs come santo patrono a vegliare dall’alto. Insomma una miscela esplosiva ad alto rischio di deflagrazione involontaria, che però funziona.
Funziona perché l’autore non dimentica mai di essere prima di tutto un appassionato di musica, che ha riversato nell’ascolto una passione autentica e talvolta ossessivo-maniacale, ma che ha anche imparato a lasciare fuoriuscire dalla propria scrittura tutto il proprio patrimonio musicale, senza farsene sopraffare. Il risultato è una musica in cui le ispirazioni si manifestano in maniera spesso evidente senza però sfociare mai in un citazionismo calligrafico.
Prendiamo ad esempio “The Great Wallop Dollop”, il brano che apre le danze di “Solar Barbecue” (dopo l’intro di “Billa“, frammento di melodia “cardiaca” virato in salsa medievale): al suo interno, già solo nel primo minuto o poco più, si susseguono in maniera schizofrenica riff alla Porcupine Tree, aeree svisate di organo, break improvvisi in stile prog-metal e un ipercinetico assolo di chitarra elettrica in pieno stile “shredder” (ad opera di Edoardo Taddei) che prima di far deragliare tutto verso il prog-metal più didascalico o verso il riccardonismo più spinto vengono sabotati e “sdrammatizzati” da intermezzi che ne interrompono ironicamente la dinamica: dapprima una sezione blues acustica e, dopo l’assolo, una voce (quella di Paolo Sala) che annuncia enigmaticamente, “ancora non si vede un autobus all’orizzonte degli eventi“. Ciò a dimostrazione che la musica contenuta in “Solar Barbecue” non è figlia dell’esibizionismo del prog più serioso, quanto del desiderio di meravigliare e divertire, nel senso più nobile del termine dal punto di vista musicale, ovvero quello zappiano.
E così il sovvertimento dell’assolo ipertecnico in tapping (che ne siamo certi, Sterbini, con sorriso sardonico “alla Zio Frank”, ha maliziosamente e provocatoriamente inserito), da serio esercizio di virtuosismo estremo a strumento di ironia compositiva, svela le intenzioni dell’autore meglio di qualsiasi altra cosa.
Allo stesso tempo il turbinio compositivo dei brani ci fa dimenticare le eventuali ascendenze musicali (ad esempio quella già menzionata dei Porcupine Tree, che peraltro si ritrova anche nel prosieguo del lavoro) perché il risultato finale suona semplicemente come “sterbusiano”. Una proposta che a detta dell’autore stesso si rifà al motto di Lillo e Greg, “preferisco fare mille cose MALE che una sola BENE“.
Non è il caso quindi di addentrarsi nella descrizione del dedalo di vicoli sonori che gli altri brani propongono, proprio per non rovinare l’effetto sorpresa, che garantiamo essere assai piacevole. Ci limitiamo a mettere a verbale che la traccia preferita di chi scrive é “Razor Legs“.
Spendiamo dunque le nostre ultime parole per dire una cosa molto semplice: se amate il prog ascoltate “Solar Barbecue“, se invece non lo amate… ascoltatelo ugualmente!
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