Conosco tutta una serie di buone ragioni per andare a vedere un concerto di Alessandro Fiori e, se non ne vengono subito in mente un paio anche a voi, probabilmente é perché non avete ancora avuto il piacere di incontrare il suo talento “gentile” (nel senso di nobile) e la sua poetica stra-lunata (nel senso de “Il Poema dei Lunatici”), che pesca volentieri nella memoria e nell’età infantile.
Attenzione però a tirare fuori il vecchio stereotipo dell’eterno Peter Pan: Fiori è un uomo maturo (un “barbone borghese” direbbe lui) che guarda le serie tv, chatta su Messenger, porta le lacrime all’Avis ed è invischiato in tutte quelle attività quotidiane che conosciamo bene. Insomma, uno di noi… non fosse per quello sguardo vagamente spaesato e quel rapporto irrisolto con il tempo e la memoria, ben visibile fin dall’aspetto del cantante, che sul palco si presenta come un ragazzo imbiancato così in fretta che la tenerezza dello sguardo infantile ha finito per rimanergli addosso.
Ma dicevamo delle buone ragioni per vedere Fiori dal vivo.
La prima, in ordine di tempo, era certamente rappresentata dalla pubblicazione di due nuovi brani intitolati “Passeggiata” e “Trasloco” (quest’ultima già edita in un EP del progetto Stres), che sul banchetto posto accanto al palco facevano bella mostra di sé all’interno di un 7” con doppia copertina fumettosa, disegnata da Marino Neri.
Andando appena un po’ più a ritroso, tra le buone ragioni per uscire di casa e recarsi all’Arci Bellezza di Milano, potremmo poi citare la possibilità di ascoltare dal vivo i brani tratti dal magnifico “Mi sono perso nel bosco”, disco che l’anno scorso ha mostrato come la scrittura di Alessandro Fiori fosse maturata al punto tale da convincere l’artista a mettere da parte le consuete freakerie in favore di un vestito musicale che “disturbasse” il meno possibile le canzoni.
E così se “Plancton”, il disco precedente del cantautore toscano, sorprendeva per le sue manipolazioni digitali che ne facevano un personalissimo (e riuscitissimo) “Kid A”, “Mi sono perso nel bosco” ha scelto un vestito rock impeccabile, che anche nelle sue aperture più oniriche e rumorose ha evitato di destrutturare quelli che da subito sono apparsi come dei piccoli classici e che dunque come tali sono stati trattati.
Il concerto ha pescato in larga parte dalla scaletta del disco, ricreandone umori e sonorità. Il gruppo che ha accompagnato Fiori, capitanato dal tuttofare Francesco Clementi (che oltre a essere il figlio di Andrea Chimenti, è pure il cantante degli ottimi Sycamore Age, rappresentati sul palco anche dal chitarrista/bassista Stefano Santoni), ha riarrangiato senza tradire quanto inciso sul disco, producendosi in un suono scintillante, sofficemente psichedelico, ma capace anche dell’enfasi elegante di certo glam. Fiori si conferma mattatore sui generis che non si limita a proporre le canzoni del disco o a ripescare alcuni suoi classici del passato (come “Il gusto di dormire in diagonale” o “Fuori Piove”), ma che intrattiene anche con letture surreali che scandiscono le tappe dello spettacolo, irretendo il pubblico con un’affabulazione che si spinge – ardita – fino a celebrare il mito di … ehm … Jerry Calà.
L’umorismo di Fiori si nutre di nonsense e rapide stoccate, mentre il palco – occupato dalla sua fisicità rotonda e minuta – si arrende alle melodie condotte da una voce pastosa che armonizza ogni parola a prescindere dalla metrica.
La performance vocale di Fiori è notevole, sia tecnicamente, che per un’intensità che sembra sgorgare naturalmente dalle sue linee melodiche: brani come “Una sera” sembrano davvero venire da un altro tempo e chiamano in ballo la bellezza fragile di certe cose di Luigi Tenco o del giovane Gino Paoli.
E fa niente se, in questa serata, il lato più sperimentale e disturbante di Alessandro Fiori non sia stato rappresentato teniamoci stretto il nostro piccolo genio e attendiamolo alla prossima metamorfosi.
P.S.
Conosco tutta una serie di buone ragioni per andare a vedere un concerto di Alessandro Fiori: uno di questi è quello di sentirsi, alla fine dello spettacolo, vivi e contenti.
ragazzo imbiancato così in fretta che la tenerezza dello sguardo infantile ha finito per rimanergli addosso……………CONDIVIDO PIENAMENTE, È IL TOCCO AUTENTICO DELLA SUA ORIGINALITÀ
Grazie Lauretta! “Autentico” è un aggettivo assolutamente calzante.
A presto e grazie per la lettura.