Era il 14 febbraio del 2017 quando, per la prima volta nella storia del pop italiano, veniva alla ribalta la data del NOVE MAGGIO. Si trattava del titolo della prima canzone pubblicata da un cantante misterioso che si firmava con il moniker di LIBERATO e la cui identità era (e sarebbe rimasta) sconosciuta.
La data del NOVE MAGGIO sarebbe tornata in occasione del secondo brano dell’artista, TU T’E SCURDAT’E ME (pubblicato il nove maggio del 2017) e ancora per scandire temporalmente prima la pubblicazione dell’esordio sulla lunga distanza (LIBERATO del nove maggio 2019) e successivamente dell’unico singolo pubblicato nel 2021 (E TE VENG’A PIGLIA’ del nove maggio 2021).
Tutto questo per dire che il NOVE MAGGIO di quest’anno vi era una grande attesa, resa frizzante dalla speranza che l’anonimo cantante napoletano pubblicasse del materiale nuovo. Le speranze non sono andate disattese e puntuale a fine giornata , con una punta di benevola cattiveria verso i fan che durante la giornata hanno continuato ad aggiornare la pagina social dell’artista, si è materializzato LIBERATO II, secondo album dell’artista.
Il disco non delude affatto: LIBERATO II esalta soprattutto la vena pop del progetto e consegna sette brani killer, in cui fruibilità e ricerca vanno a braccetto, inanellando una serie di potenziali inni che non sfigurano affatto di fianco ai brani finora pubblicati, al punto da far dimenticare sia l’amaro in bocca per la brevità del programma, sia la sottile delusione per un disco che, al di là della propria perfezione formale, “si limita” a replicare (migliorando nella stratificazione e nella cura del suono) la formula dell’esordio, senza però alzare l’asticella della propria ricerca sonora. Un’aspettativa che era invece lecito coltivare soprattutto alla luce di quanto ascoltato nella colonna sonora di ULTRAS (esordio alla regia di Francesco Lettieri, autore di quasi tutti i videoclip dell’artista e parte integrante del progetto), dove si concedeva maggiore respiro ai brani (senza disdegnare un paio di clamorose puntate pop) e si metteva in evidenza un eclettismo non comune nel maneggiare registri e atmosfere tra loro piuttosto differenti.
Quello però che conta è che in LIBERATO II il canone sia stato rispettato nel merito (e ciò è segno di personalità) e nella qualità (segno di una ispirazione tutt’altro che calante)… Un canone sfuggente e (ci sembra) in pieno divenire, di cui vogliamo mettere in evidenza alcuni aspetti.
Lo facciamo partendo proprio dal film ULTRAS del marzo del 2020, che – nel raccontare il drammatico passaggio di testimone tra due generazioni di ultras del Napoli – sembra richiamare proprio la medesima capacità della musica dell’artista napoletano di restare sospesa tra diverse generazioni di ascoltatori. Nella proposta musicale di LIBERATO, i suoni contemporanei vengono maneggiati con una sensibilità che pare venire da lontano, mentre la produzione dei brani, dosa al meglio l’euforia giovanile con quella maturità che si consegue solo con l’età e l’esperienza.
Il vocabolario utilizzato da LIBERATO è una sorta di riassunto di tutto quello che è stata la musica elettronica da ballo degli ultimi trent’anni: dalla house, al dub, dalla techno nordeuropea ai più recenti influssi latino-americani, fino ad arrivare alla trap auto-tunata. Questa capacità sincretica di gestire influenze, ora risalenti ora assolutamente contemporanee, assicura al progetto un vasto pubblico: dai ragazzini che riempiono i concerti, agli ascoltatori più smaliziati che hanno modo di accedere a traduzioni a loro più congeniali delle ultime tendenze musicali.
Complice anche una certa attenzione a ciò che gira intorno e una dose di sano opportunismo, la miscela sonora di LIBERATO viene percepita come iper-contemporanea, al punto da essere associata – spesso a torto – ai fenomeni più hype della scena mainstream italiana (la trap, l’It pop o addirittura il rap nonostante LIBERATO non abbia mai rappato nessun testo…). A controbilanciare questa propulsione all’oggi, provvede una maturità che si riscontra, oltre che – come detto – in scelte sonore che levigano i marcatori musicali più moderni, nell’attenzione verso certi meccanismi iconogra-feri (l’anonimato del cantante in stile Banksy o primo Burial, l’utilizzo di un’immagine iconica e stilizzata alla stregua di Tre Allegri Ragazzi Morti e Gorillaz e più in generale l’attenzione transmediale verso l’aspetto visivo del progetto) e nel legame verso l’oggetto feticcio dell’album (divenuto se non anacronistico, quantomeno non necessario per la diffusione della musica, considerato peraltro che i canali in cui LIBERATO ha trionfato sono altri, come ad esempio i video pubblicati su YouTube).
Caratteristiche che rendono il progetto LIBERATO un felice incontro generazionale che si consuma nel campo di quella musica popolare che (giustamente) non si vergogna di puntare al consumo di massa.
Sì, perché la musica di LIBERATO appare “popolare”, non per ricerca intellettuale o commerciale, ma per naturale collocazione. Una naturalezza per nulla inficiata dal livello di sofisticazione utilizzato da chi gestisce in ogni minimo particolare il progetto dell’artista… A cominciare dai raffinatissimi testi dei brani, i quali, se a prima vista potrebbero apparire semplici canzoni d’amore di stampo adolescenziale, a un ascolto più attento rivelano una metrica perfetta, per ritmo e suono, e una ricerca linguistica peculiare che fonde italiano e napoletano, neologismo e termine dialettale risalente, amalgamando il tutto con un inglese elementare che ha smesso di essere lingua straniera per farsi vulgata comune, neapolish da utilizzare per le strade della città (una commistione, questa tra napoletano ed inglese, che viene da lontano: dalle pagine liriche e spietate de “La pelle” di Curzio Malaparte, al meticciato neorealista di “Tammurriata Nera” per giungere alle musiche bastarde di Renato Carosone, James Senese o Pino Daniele).
Uno slang personale, ma subito intellegibile che fa il paio con la precisa volontà di non rinunciare mai alla melodia ficcante, consapevoli che è necessario consegnare alla gente un ritornello da cantare, non (solo) al fine di vendere loro qualcosa, ma per riuscire a collocarsi al loro fianco e portare il discorso musicale a un livello più ampio e identitario. Il naturale tendere del ritornello verso la coralità innodica e aggregante è una magia che ogni volta ridefinisce l’identità dell’ascoltatore, partecipe di un canto collettivo che non si esaurisce (più) nel singolo.
Magia che a LIBERATO riesce senza consegnarsi ai luoghi comuni della canzone italiana sanremese, ma tramite un approccio melodico personale che assume caratteristiche stranianti, sospeso com’è tra reminiscenze neomelodiche e/o popolari e impulsi esterofili e urban.
Reminiscenze popolari in cui si concretizza musicalmente il rapporto con una Napoli di cui viene resa l’indissolubile miscela di bellezza e degrado. Al netto di qualche compiacimento oleografico, l’effetto cartolina viene sempre evitato e si restituisce piuttosto l’immagine concreta della città, che non nasconde ghetti e delinquenza, né tantomeno cerca di venderli come esperienze gangsta/hipster. Nelle canzoni di LIBERATO, Napoli è semplicemente il contesto delle storie narrate, che non cerca legittimazioni e si mostra per quello che è.
E se ci si sofferma sulla sua bellezza è solo per ricordare, a chi mai lo avesse dimenticato, il suo splendore.
Tornando al nuovo disco, LIBERATO II, l’album era certamente molto atteso, dopo il successo clamoroso del suo predecessore.
Nell’attesa i fan avevano potuto godere di materiale di qualità tale da far lievitare le aspettative. Abbiamo già menzionato la colonna sonora di ULTRAS che, oltre a notevoli brani in odore di house e gabber (come la colossale VIEN’ CCA’), piazzava brani innodici e definitivi come WE COME FROM NAPOLI (con la partecipazione del ghettofuturista di casa Warp Gaika e di Robert “3D” Del Naja dei Massive Attack) e O CORE NUN TENE PADRONE (sempre con 3D); facevano poi seguito nel 2021 la bomba neomelodica con ritornello sospeso su base dub in levare di E TE VENG’A PIGLIA’ e le collaborazioni con Ghali e J Lord (Chiagne Ancora) e con Bawrut per JE ‘O TTENG E T’O DDONG’.
LIBERATO II oggi si propone di levigare, piuttosto che enfatizzare, le derive dance del progetto, inseguendo una bella calligrafia pop a partire da una PARTENOPE che avvia le danze, raccontando la storia di una sirena moderna (dietro cui non si può non ravvisarsi la solita, sfuggente e immortale, città napoletana) e calando subito sul piatto tutti i topoi del suono-LIBERATO (battiti sintetici, ritornelli in autotune e uno splendido videoclip il cui realismo magico viene affidato a una operazione di rivendicazione del passato simile a quella de “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone). NUN CE PENZA’ ha un andamento irresistibilmente disco, grazie anche a un giro di basso che – sottoposto alla sopraffina scienza del mixer – riesce a suonare interessante nonostante sia stato già sentito milioni di volte; per NUNNEOVER si parte neomelodici con gioco di parole neapolish e beat costruito su un campionamento vocale da applauso per efficacia e semplicità e si giunge a una ANNA che è un gioiello inatteso: costruito su un’inedita chitarra indie, vanta una melodia di cristallo affidata alla voce calda e pastosa di LIBERATO e diventa struggente nei break degli archi sottoposti alla medesima scienza del mixer cui accennavamo prima. Forse l’apice del disco.
GUAGLIONCELLA NAPULITANA riprende ritmo con synth pulsanti e anelito da tormentone, mentre CICERENELLA delude un po’ nel suo non riuscire ad essere il brano monstre che vorrebbe rappresentare… rimane un buon tentativo di gettare un ponte tra la tradizione popolare della canzone napoletana e i ritmi hardcore della dance contemporanea, ma manca – a nostro avviso – l’appuntamento con l’episodio epocale.
Chiude ‘NA STORIA ‘E ‘NA SERA con la perfezione incombente del suo ritornello che cresce fino a un climax che viene posticipato allo spasimo e infine negato.
Fino al prossimo appuntamento in cui “LIBERATO canterà ancora”.
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