Tra le giovani cantautrici emerse negli ultimi anni, la trentatreenne Courtney Barnett è certamente una delle più interessanti e dotate di talento.
I suoi dischi, più che soffermarsi su tematiche magari più vicine alla generazione dei millennials (giustizia sociale e razziale, problemi legati alle dipendenze online, nuove identità sessuali etc), preferiscono piuttosto parlare di temi legati all’osservazione delle cose più banali del nostro quotidiano e il suo terzo lavoro, intitolato “Things Take Time, Take Time”, non fa differenza.
Ma se l’attenzione per i dettagli è la medesima che abbiamo imparato ad amare nei lavori precedenti, a essere a cambiato sembra essere il mood che permea le varie canzoni, che si rivela da subito più rilassato e dolce, perfettamente abbinato ai dieci saggi di amore, pazienza e guarigione che Courtney propone. E considerato il tagliente senso dell’osservazione cui la ragazza ci aveva abituato, non può ovviamente che colpire la tenerezza di queste sue nuove composizioni, personali e intime.
Fin dal suo esordio, Courtney si è infatti dimostrata molto abile nell’attingere al nostro disordine quotidiano per poi raccontare storie dotate di una profondità non comune. Nel suo debutto “Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit” meditava su temi che andavano dalla mortalità alla gentrificazione, mentre nel suo seguito più grunge, “Tell Me How You Really Feel”, faceva capolino una vena più introspettiva, che stemperava l’insicurezza personale presente fin dal debutto (ricordate ‘Pedestrian At Best‘, con il suo ritornello: “Put me on a pedestal and I’ll only disappoint you“?) con una buona dose di senso dell’umorismo e di auto-ironia.
Rispetto al vortice in technicolor di ‘Tell Me How You Really Feel‘, “Things Take Time, Take Time” richiede più tempo per essere assimilato e si presenta più spazioso e rilassato. L’ottovolante in cui era precipitata la ragazza a seguito della notorietà, unito a tutti gli eventi, personali e globali, che si sono avvicendati negli ultimi anni (la pandemia, gli incendi che hanno devastato l’Australia, la rottura con la compagna di lunga data Jen Cloher) hanno fatto certamente maturare Courtney e l’hanno spinta a meditare su parecchi temi. Il risultato è un album che rinuncia al rock più rumoroso, in favore di bozzetti intimi e blues, in cui fa spesso capolino anche un persistente senso di ansia.
Composto in solitudine nella sua casa di Melbourne, con il solo ausilio di Stella Mozwaga delle Warpaint che ha co-prodotto l’album, il disco si nutre di sonorità scarne e intime, che si muovono su tappeti di drum machine e che sembrano esaltare la capacità dell’autrice di cogliere il ronzio e il brusio di fondo della vita di tutti i giorni.
Canzoni in cui il fraseggio di Courtney, a metà tra il canto e lo spoken dylaniano, sembra interessato – più che a quello che accade nel mondo – alla quotidianità che tutti viviamo nelle nostre cucine o nei letti disfatti a cui non abbiamo voglia di cambiare le lenzuola. Ma tale raccoglimento diventa spesso trampolino per riflessioni più generali… e così “Things Take Time, Take Time” finisce per essere un disco che dispensa consigli di self-help; le cui canzoni offrono solidarietà e un aiuto amichevole, sfoggiando uno di quei sorrisi capaci di nascondere la tristezza.
D’altronde, fin dal primo brano, “Rae Street“, Courtney si sveglia dichiarando “In the morning, I’m slow” per poi decidere di passare la giornata a guardare, alla stregua del Ray Davies di “Waterloo Sunset”, il mondo dalla finestra, assistendo a siparietti ordinari come un camion della spazzatura che passa, un pittore che dipinge poco più in là, una madre che urla ai propri figli, per finire poi con il decidersi a cambiare le lenzuola (“I might change my sheets today“), conscia che “You seem so stable, but you are just hanging on”.
Nel secondo brano “Sunfair Sundown” sembra di origliare una conversazione intima tra la cantante e un amico: “At the end of the day you’re awake with your thoughts,/and I don’t want you to be alone”, mentre in “Turning Green” si cerca di superare solitudine e depressione con battiti ansiosi e frasi come: “You have been around the world looking for the perfect girl/ and she was just living down the street/ (…) I hear all your fears /and they are understandable my friend/ why don’t you let go of these ideas, /they’re never serve you in the end”.
Stesso mood per “Write a list of things to look forward to” dove si insiste sulla solitudine e la difficoltà di trovare qualcuno “Nessuno sa perché continuiamo a provare, perché continuiamo a provare. E così via, non vedo l’ora che arrivi la prossima lettera che riceverò da te“.
Non tutte le canzoni risultano cupe e lo spiritello sbarazzino e pop che abbiamo imparato ad amare nella ragazza fa capolino nel senso dell’umorismo che, in “Take It Day by Day“, le fa dire spensierata “Don’t stich that knife in the toaster, Baby life is like a rollercoaster” o che, nella canzone più orecchiabile del disco “Before You Gotta Go“, cerca la riconciliazione con la persona amata tramite i versi: “If something were to happen my dear/I wouldn’t want the last words you hear to be unkind”.
Al filone più ottimista iscriviamo anche la meravigliosa “If I don’t hear from you tonight”, che tramite un notevole riff di chitarra mostra una Barnett che si apre a un nuovo amore, mostrando – incantevole – tutta l’ingenuità tipica di chi si innamora, abbassa la guardia e rinuncia per una volta alla propria tagliente ironia.
Concludono l’album in tono più dimesso quella cronaca di una rottura che è “Splendour” (“Someday so soon I’ll be seeing you/ Oh, no I’m really going to miss you”) e il finale di “Oh, the night” (“Sorry that I‘ve been slow/You know it takes a little time/Time for me to show how I really feel/ Won’t you meet me somewhere in the middle”).
In “Things take time, take time”, Barnett finisce per consegnare un catalogo di canzoni che sembrano voler fornire un modello, per la propria generazione (e non solo), su come affrontare le ansie sociali e personali. Una maniera diversa di risultare “politici” in un momento in cui empatia e amicizia scarseggiano proprio in quel mondo che Courtney sembra osservare distratta e con cui dobbiamo misurarci quotidianamente.
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