Circa un mese fa, scrivevamo del nuovo disco di William Doyle intitolato “Great Spans of Muddy Time”.
Nel descrivere il lavoro del musicista inglese cercavamo di evidenziare alcuni aspetti che, oltre a caratterizzare l’album in sé, ci sembrava rivelassero qualcosa anche dell’identità (sfuggente) dell’artista: l’eclettismo, il talento ondivago, il gusto lunatico per un certo canone inglese, la presenza fantasmagorica di un lavoro abortito e di una precedente identità.
Alcune di questi aspetti sono diventati le domande che abbiamo posto direttamente all’interessato, ottenendo in cambio le risposte che leggerete.
Ciao William,
innanzitutto grazie per questa intervista.
Premessa: quando ti abbiamo visto esordire come East India Youth abbiamo pensato: finalmente qualcuno che riesce ad arrivare a tutti, coniugando elettronica post rave e linee vocali estatiche. Quando hai pubblicato “Your Wilderness Revisited”, hai cambiato nome, abbracciato un suono più classico e rinunciato a molti crediti acquisiti. Adesso, consegni un altro lavoro che svolta ancora una volta verso altri lidi…
Insomma, alla fine abbiamo cominciato a pensare che forse la tua vera identità risiede proprio in un’ondivaga e inesausta curiosità. E’ così?
La curiosità mantiene la mente sana. Non è sempre un viaggio comodo o piacevole, ma è un viaggio importante. Il mio modo di lavorare consiste nello scoprire cose sul mondo e su me stesso. Rimanere entro i confini del genere e della struttura, invece, restringe la possibilità di scoprire qualcosa di importante.
Sbagliamo nel pensare che più che al “canone maggiore” della musica britannica (Bowie, Eno etc), è forse il caso di iscriverti tra i “grandi irregolari” come Robert Wyatt, Momus o Fad Gagdet? Da ascoltatore a chi vanno le tue simpatie?
È meglio avere un piede in entrambi i campi, , suppongo. Ma non la vedo proprio in questo modo… Trovo Eno irregolare tanto quanto Wyatt. Fad Gagdet attraente tanto quanto Bowie. Credo che operino in diversi campi più dal punto di vista commerciale che artistico. Bowie ed Eno hanno avuto più successo finanziario e (forse) di critica degli altri, ma il loro lavoro è altrettanto importante per me. Non so davvero come o dove la gente mi veda, all’interno di questo continuum. Vorrei solo continuare a fare le mie cose, e magari saranno gli altri, se vogliono, a decidere dove mi trovo su quella linea temporale.
Veniamo a Great Spans of Muddy Time. Toglici innanzitutto una curiosità: come sarebbe diventato o perlomeno in che direzione sarebbe andato il disco se lo avessi ultimato senza la perdita di gran parte delle registrazioni?
Non ne ho idea! Sarebbe stato semplicemente diverso. Ricordo che quando lavoravo a ‘Your Wilderness Revisited‘, inizialmente volevo che fosse una collaborazione con un mio amico e che avesse un’atmosfera molto “da studio” e non da registrazione “casalinga”. Quando è diventato chiaro che non avevo i soldi per farlo, ho pensato che fosse un fallimento. Ma poi è stato proprio il mio amico a dirmi che non sarebbe stato né migliore, né peggiore: solo differente. Questo è uno dei migliori consigli che abbia mai ricevuto.
Antonio Gramsci diceva: “Il vecchio non muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Pubblicando una versione “istintiva” di Great Spans of Muddy Time pensi di esserti liberato del fantasma della versione perduta di questo disco? O credi che certe strade che avresti voluto percorrere torneranno a “infestare” i tuoi lavori futuri? Se si, la valuti come un’opportunità per coltivare affascinanti “fenomeni morbosi”?
“Morbid Phenomena” è un grande titolo per un album! Anche se mi piace lavorare per cicli di album e cercare di rendere ogni pezzo parte di un tutto coeso, recentemente ho cercato di fare qualcosa di nuovo ogni giorno, qualcosa che non si adattasse necessariamente alla struttura di un album. Forse il contesto giusto per quel determinato brano apparirà solo tra qualche mese o forse tra qualche anno e forse allora funzionerà in un album… ma, così facendo, quando accadrà io sarò in uno “stato permanente di prontezza” invece che essere in uno “stato permanente di ansia” perché sto cercando di lavorare duramente su un singolo progetto. Penso che il processo accidentale attraverso il quale si è venuto a formare “Great Spans of Muddy Time”, mi abbia insegnato a non essere troppo attaccato ai singoli pezzi. Quindi se finirò per percorrere certe strade che sono accennate in questo disco, sarà solo inconsciamente o per caso.
La tua scrittura si divide tra brani cantati e strumentali che, in particolare nel tuo ultimo lavoro, si alternano nella scaletta. Come e quando un brano diventa strumentale o cantato? C’è una netta divisione sin dall’inizio della composizione o ogni brano scopre la propria natura in fieri? É mai successo che un brano che era già identificato come strumentale diventasse cantato e viceversa?
Generalmente capita che qualcosa all’inizio del processo mi fa capire se la mia voce sarà necessaria o meno su una traccia. Alcune persone possono non essere d’accordo. Ma io cerco sempre di lavorare più a livello di istinto che avendo in mente un obiettivo definito. Ricordo che alcuni brani strumentali del primo album di East India Youth avevano alcune tracce vocali nelle prime versioni, ma che alla fine le ho rimosse perché sentivo che la voce finiva per essere d’intralcio. Quando sei un cantante, è molto facile pensare “ora è il momento di cantare”. Opporsi a questo principio può essere molto illuminante.
Ti va di raccontarci del passaggio tra East india Youth e William Doyle? Ai due “personaggi” capita di parlarsi ogni tanto?
La transizione ha avuto realmente più a che fare con la mia vita personale che con una visione artistica. Considero cose come “Total Strife Forever” come un lavoro in linea con ciò a cui sto lavorando ora. Come si viene chiamati o a chi viene attribuito un disco non è così importante per me in questo momento. Al tempo del passaggio, utilizzare il mio nome è stato un modo per permettermi di ricominciare con alcune cose, un reset creativo davvero necessario. Ma col passare del tempo vedo i due “personaggi” sempre meno separati.
Come valuti la canzone britannica oggi? Anche un grande songwriter come te spesso si rivolge alle gassose suggestioni della musica ambient e ai ritmi della musica elettronica, piuttosto che alla concretezza della canzone. A tuo avviso, si tratta di una gloriosa tradizione che oggi mostra la corda, incapace di coniugare, come in passato, scuola d’arte e appeal popolare?
Questa è una domanda molto vasta, perché non so davvero come si possa definire il songwriting britannico. Sono un grande fan delle canzoni ben fatte, ma amo anche la musica ambient generativa e improvvisata ed entrambe mi danno qualcosa. Penso anche che ciò che la gente considera “songwriting” cambi nel tempo… Un buon “hook” non deve necessariamente essere una melodia solida ma può essere un ritmo o anche una sezione parlata. La tradizione cantautorale che amo di più è molto basata sulla melodia, e non mi sembra di sentirla molto in giro nei nuovi gruppi, ma questo non significa che penso che quella tradizione stia morendo. Probabilmente tornerà in giro in qualche altra forma.
Parliamo dell’eclettismo, qualità che di certo può esserti attribuita. In epoca di flussi digitali e pulviscolo informativo, qualcuno la ritiene un modo per fuggire l’approfondimento, scivolando, agili, sulla superficie delle cose; altri la declinano alla vecchia maniera: una irrequietezza capace di condurre al rinnovamento continuo e al vitalismo creativo. Tu cosa ne pensi? Come declini il tuo eclettismo?
Penso che quello che faccio sia motivato dalle stesse domande, al di là del modo (il genere o lo stile ecc. ) in cui le risposte si manifestano Anche a causa di cose che sono accadute nella mia vita, tendo ad avere una visione molto frammentata di me stesso, e forse sto cercando di esplorare questi frammenti e metterli insieme attraverso quello che faccio. Ma anche questo è un principio unificante piuttosto che divisivo.
Infine, classica domanda di chiusura, ma che nel tuo caso assume un significato particolare, visto appunto il tuo eclettismo: quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Farmi vaccinare. Aiutare gli altri a vaccinarsi. Ma anche il prossimo album è già dietro l’angolo, davvero. L’ho già scritto tutto.
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