Cardiacs, chi erano costoro?

Il ricorso alla citazione manzoniana appare appropriato non tanto per darsi un tono, ma perchè effettivamente la risposta a tale domanda appare meno scontata di quanto possa apparire.
Oltre al fatto che si tratta di una band ancora sconosciuta a molti, è possibile infatti che anche chi afferma di conoscerli in realtà non ne abbia mai afferrato pienamente l’essenza e questo in virtù di una natura sfuggente che intriga, ma può anche far ritrarre.

Ad esempio, se la risposta alla domanda di cui sopra, sarà qualcosa del tipo “ah sì, sono quei tipi strambi che fondevano Prog e Punk” state pur certi che non vi trovate di fronte né a un fan né a un vero conoscitore dei Cardiacs. Nello specifico infatti non si tratta certamente di un’affermazione falsa, ma sarebbe un po’ come descrivere Frank Zappa come “quel tizio strano con i baffoni che fondeva Contemporanea e Doo Wop”: la definizione indica cioè alcuni aspetti formali indiscutibilmente veri, ma risulta decisamente incompleta e, pur cogliendo l’effettiva attitudine anticonvenzionale che caratterizza i Cardiacs, rischia di metterne in evidenza solo l’aspetto più macchiettistico. Questo perché… oltre alla weirdness c’è di più.

Come procedere dunque per fornire una risposta autorevole al quesito iniziale?
Avremmo potuto optare per una classica monografia, ma sarebbe stato davvero efficace? Avreste letto che la band meritava certamente di più, che i Cardiacs erano l’emanazione di tale Tim Smith, che i dischi migliori sono generalmente considerati “A little man and a house and the whole world window” o “Sing to god” e altre cose che si possono reperire da tante altre parti. Probabilmente però il mistero dei Cardiacs sarebbe rimasto insoluto e forse sareste usciti dalla lettura pensando ad essi proprio come “quei tipi strambi che fondevano Prog e Punk”.
La questione diventa poi ancora più spinosa se consideriamo che la band inglese è estremamente divisiva e non concede “terre di mezzo”. Dopo Manzoni, Jo Squillo e Sabrina Salerno, non ci restava che parafrasare nientemeno che Gesù Cristo in persona: o sei con Tim Smith o sei contro di lui! Difficilmente infatti incontrerete qualcuno a cui i Cardiacs piacciono abbastanza e che li ascolta ogni tanto: in genere o si è innamorati di loro (e i fan costituiscono una specie di tribù transnazionale) o proprio non si riesce ad ascoltarli, trovandoli spesso addirittura fastidiosi.

Vista la difficoltà dell’impresa, abbiamo quindi deciso di giocarci la carta dell’esperto e ci siamo rivolti a uno massimi esponenti della materia in Italia. Si tratta di Emanuele Sterbini, uomo scisso in una doppia identità: quella di musicista sotto il nome di Sterbus (prima moniker, poi vera e propria band e ora duo composto da Sterbini e da Dominique D’Avanzo) e quella di fan sfegatato, nonché instancabile divulgatore del verbo cardiaco.
Una duplice identità che si muove in direzioni parallele, ma con alcune occasionali convergenze. Prendiamo ad esempio l’ultimo disco di Sterbus: il doppio “Real estate/Fake Inverno” non suona affatto come un replica del “Cardiacs sound” (sulla pagina bandcamp l’album è descritto come Power-Pop-Prog), eppure la band ha anche eseguito delle cover dei Cardiacs, partecipando a un paio di dischi tributo alla band di Tim Smith.
Sfruttare quindi queste differenti, ma simultanee prospettive (musicista da un lato e quella ascoltatore/fan dall’altro) ci è sembrata un’occasione da non perdere per dipanare la matassa al fine di cogiere l’essenza di una band davvero unica.

Prima di presentarvi la conversazione con Emanuele, ci teniamo a raccontarne solo il triste e toccante epilogo che ha portato alla prematura fine del gruppo: nel 2008 il “leader of the starry skies”, come veniva affettuosamente chiamato Tim Smith dai fan, (utilizzando il titolo di una sua canzone patì un infarto (amara ironia della sorte per colui che aveva inizialmente dato alla band il nome di Cardiac Arrest…); in seguito si scoprì che aveva sviluppato una rarissima malattia denominata “distonia” che gli impediva il controllo dei muscoli, causandogli nel contempo lancinanti dolori. Questo segnò ovviamente anche la fine del gruppo e costrinse l’artista inglese a passare il resto della sua vita in una carrozzina, barcamenandosi tra mille difficoltà, anche economiche. Nel corso degli anni venne persino organizzata una raccolta fondi per finanziare le cure e che, grazie agli affezionatissimi fan (e non solo), raccolse un successo decisamente maggiore rispetto a quanto sperato. Smith si è infine spento nel luglio del 2020 all’età di 59 anni.

 

Prima di parlare dei Cardiacs, parlaci brevemente di te e del progetto Sterbus. Te lo chiedo anche perché la storia della band ha incrociato a un certo punto Tim Smith e soci, giusto?
Sterbus è un progetto che risale al 2004, anno in cui un mio amico mi chiamò in questo modo – il mio cognome è Sterbini – durante un concerto degli Sweepers (gruppo in cui suonavo il basso all’epoca). Mi suonava bene e decisi di adottarlo per le mie cose soliste. Per tutti i primi anni, almeno fino al 2013, Sterbus era solo un progetto in studio, realizzavo i miei cd autoprodotti, ma non sentivo il bisogno di suonarli dal vivo, finché nel 2013, all’indomani dell’uscita di “Smash the Sun Alight”, fui invitato a suonare a Kingston-upon-Thames (quartiere sud periferico di Londra, tra l’altro quartiere natale dei Cardiacs) ad un concerto-benefit in favore di Tim Smith. Qui va segnalato che nel 2010 e 2011 avevo realizzato anche due cover dei Cardiacs, “Dirty Boy” ed “Anything I Can’t Eat che erano state molto apprezzate nel giro dei fan della band e avevano cominciato a far girare un po’ il mio nome in quel circolo. Insomma, vengo invitato a suonare ed ho bisogno di reclutare persone per poter suonare dal vivo! Cosicché chiamo il batterista che suonava nell’altro gruppo in cui suonavo il basso, un altro amico alla chitarra e infine Dominique D’Avanzo (che già aveva cantato nei miei album ogni volta che avevo voluto una voce femminile) a dividere le parti vocali con me.. Il concerto andò molto bene e quel giorno conobbi anche Bob Leith, batterista dei Cardiacs da “Sing to God” in poi, davvero un grande della batteria con uno stile che amo moltissimo. Quella sera stringemmo amicizia e rimanemmo in contatto. Insomma, il mio esordio dal vivo è stato a Londra e davanti a membri del mio gruppo preferito! (C’erano anche il percussionista Tim Quy e Mark Cawthra). Negli anni successivi, in una formazione ridotta a duo con solo me e Dominique, ma con Noel Storey alle tastiere, avremmo partecipato ad altri tre benefit in Inghilterra, ogni volta proponendo brani nostri e cover. Un giorno, durante una conversazione, chiedo a Bob Leith se gli sarebbe piaciuto suonare la batteria sul nostro prossimo disco e lui ha accettato! Un sogno che si avverava! Dopo avergli mandato dei demo, tra ottobre 2017 e febbraio 2018 lo invitiamo a Roma per registrare le batterie per “Real Estate / Fake Inverno”, che risulterà essere addirittura doppio e che riusciremo a presentare proprio a Londra, nel mitico Water Rats (locale storico dove ha tenuto i primi concerti londinesi gente come Bob Dylan) con Bob alla batteria e Tim Smith nel pubblico! Che serata! In questo momento siamo in studio per lavorare al disco nuovo.

Ok, adesso iniziamo facendo le cose per bene, come ci hanno insegnato a scuola: chi (te li fa fatti conoscere), cosa (hai ascoltato per primo) dove (eri quando li hai ascoltati) quando (è successo) perché (sono diventati la tua band)?
Ho conosciuto i Cardiacs nell’estate del 2006, grazie al mio amico di vecchia data Francesco Gentile con cui sono sempre stato in contatto grazie alla nostra prima passione comune, ovvero Zappa. Un giorno mi dice “dovresti ascoltare questi, secondo me ti piacciono”, e mi passa “On Land and in The Sea” su cdr. Ricordo come fosse oggi che avevo “Thick as a brick” dei Jethro Tull nell’autoradio, lo tolsi, e probabilmente non lo rimisi mai più. Ovviamente appena arrivato alla fine del cd ero già stato folgorato: c’erano la complessità e l’assurdo zappiano, unito a tempi spesso veloci e storti e alle chitarre distorte, con in più un’enorme giocosità e una grande voglia di sorprendere di fondo.

Spesso i gruppi eclettici e senza barriere di genere finiscono più che per accontentare, per scontentare tutti… tranne una piccola tribù di pasdaran dal forte aspetto identitario che vivono l’amore per il gruppo come una fede. Mi pare che i Cardiacs non sfuggano a tale regola. E’ possibile fare un identikit del tipico amante dei Cardiacs? Esiste un aspetto musicale o sociale che lo caratterizza e lo porta a far parte di questa orgogliosa minoranza?
Bella domanda! Di primo acchito si potrebbe credere che il fan tipico dei Cardiacs sia l’amante del progressive, ma in 15 anni ho scoperto che non è affatto così: spesso e volentieri il fan sfegatato nemmeno sa se sta ascoltando un tempo dispari o se gli accordi sono tanti e/o strani, perché comunque il primo impatto è con la melodia, che nel caso dei Cardiacs è sempre in primo piano. I loro brani sono tutti “cantabili” come se fossero delle semplici canzoni pop. Poi ovviamente c’è anche l’amante del prog anni ‘80 come IQ o Marillion, o andando più indietro Gentle Giant o Genesis. Così come il fan dei Blur, dei Faith No More, del math-rock, degli Henry Cow, dei Damned, Madness, Stranglers… C’è davvero di tutto, di tutte le età, di tutti i look…

Può essere solo una suggestione extramusicale e va presa quindi con le pinze, ma un mio amico inglese mi fece notare una cosa sui fan dei Cardiacs: lui aveva l’impressione che ogni fan dei Cardiacs avesse qualcosa dentro di “broken” che la musica di Tim riusciva a riunire/mettere in piedi. Può sembrare strano perché spesso questo tipo di sensazione è associata a “musica triste/malinconica”, mentre quella dei Cardiacs è esattamente il contrario, ma è forse questo il punto: la musica dei Cardiacs probabilmente svolge una funzione lenitiva, quasi guaritrice. C’è una parola inglese: “exhilarating” (ndr all’incirca “qualcosa che ti fa stare così bene da farti ridere”) che non ha un vero e proprio equivalente in italiano, ma che secondo me descrive molto bene questo concetto.

I Cardiacs sono una band che sfugge a ogni tipo di categorizzazione. Ma se mi puntassero la classica pistola alla tempia intimandomi di scegliere un solo genere per descrivere la loro musica direi che Tim Smith è essenzialmente un punk. La motivazione si può trovare non tanto e non solo in alcuni elementi musicali o nel cantato (forse l’aspetto più evidente in tal senso), ma soprattutto nell’atteggiamento irriverente, iconoclasta e irriducibilmente indipendente. Sei d’accordo?
Beh, se avere un atteggiamento irriverente, iconoclasta e irriducibilmente indipendente vuol dire essere punk allora sì, Tim era un punk, anche se poi nella sua musica tutto era scritto e deciso fino ai minimi dettagli. C’è chi ha coniato la parola “pronk” per i Cardiacs (progressive + punk) ma Tim ha sempre odiato questa definizione, preferendo definirsi “pop”, o al massimo “pop psichedelico”. Ed in realtà io sono d’accordo con lui. Tim scriveva semplicemente canzoni (“tunes” direbbe lui) e queste canzoni avevano la sua firma e basta. Rispetto a tanti gruppi eclettici (Mr Bungle compresi) nei Cardiacs non si può mai dire “ecco, qui hanno fatto il pezzo punk, questo è un classico prog, quello è country, quello è doo-wop anni ’50”. La musica di Tim non è mai un pastiche, non è mai qualcosa “nello stile di”, ma è sempre qualcosa che viene espresso nel suo linguaggio unico, tramite un tipo di songwriting inventato da lui.

Veniamo ora al Tim Smith autore. Quando a Smith è stata posta la questione della complessità della propria musica la risposta è stata “per me si tratta sempre di canzoni”. La forma canzone però è codificata e per sua natura strutturalmente semplice. Come si coniuga questa linearità con la complessità della musica dei Cardiacs?
Io credo che in tutti i campi della vita l’uomo cerchi sempre la perfezione… quando si veste si vuole vestire bene, se cucina vuole cucinare un piatto buono,, quando parla, cerca di arricchire il suo vocabolario e nutrire la sua intelligenza magari con la cultura, studiando… Non si capisce perché quando poi arriva il momento di ascoltare musica il suo cervello debba essere azzerato ai minimi termini, in modo da poter capire solo “strofa + ritornello, e con meno accordi possibili” senza sforzo. Si può fare pop anche mettendo in campo qualche arma in più, qualche idea in più che alla fine non ha nessuno scopo se non di stuzzicare l’ingegno ed essere intelligente, riuscendo così a risultare più soddisfacente sia per chi scrive che per chi ascolta. E questo si può assolutamente ottenere anche senza perdere il “cuore”. Spero di aver risposto alla tua domanda.

Proviamo ora ad analizzare alcuni elementi fondanti nella musica del gruppo, partendo dalla ritmica. L’utilizzo dei tempi dispari e in generale della ritmica complessa è, perlomeno nel rock, associata a musica come il progressive o il jazz rock spesso accusata di virtuosismo fine a se stesso. In che modo Tim Smith si differenzia e perchè dovrebbe sfuggire alle accuse rivolte a generi come quelli citati ?
Innanzitutto un piccolo fatto: nella musica dei Cardiacs sono totalmente assenti gli assoli, di qualsiasi genere: quei pochi che esistono, che si contano sulle dita di una mano, sono soli che riproducono una melodia precisa e scritta (come per esempio l’assolo di chitarra alla fine di “R.E.S.o all’interno di “There’s Good Cud”). Oppure c’è l’assolo non ortodosso di “Fiery Gun Hand”, costruito in studio editando creativamente frammenti di fraseggi preesistenti del chitarrista Jon Poole” in modo da ottenere un “impossible solo“. Per stessa ammissione di Tim, la loro non è una band che improvvisa dal vivo o che scrive i suoi brani grazie alle jam in studio. “Che dio me ne scampi! Dopo mezz’ora avrei solo male al braccio e giungeremmo solo a dei compromessi brutti” (“compromised bollocks”). Molti dei tempi storti Tim li scriveva prima “nella sua testa” e solo successivamente venivano tradotti sullo strumento, proprio per evitare di usare sempre i soliti due accordi. “Will Bleed Amen” è un classico esempio di riff di questo tipo. A volte invece il fatto che un tempo possa essere dispari è qualcosa che semplicemente si può scoprire a posteriori, contando i beat, ma che mentre scrivi semplicemente ti viene naturale in quel modo. A volte invece può essere semplicemente divertente decidere di togliere od aggiungere una battuta a una strofa o a un ritornello… “Wind and Rain is Cold” è un delizioso brano pop quasi reggae chei guadagna in divertimento con le sua battute saltellanti… In ogni caso la cosa che più balza all’occhio (o forse dovremmo dire all’orecchio) analizzando le canzoni di Tim e la pressoché totale assenza di pigrizia nella scrittura. Canzoni che funzionerebbero anche senza quel cambio di tonalità o quel cambio di tempo, funzionano MEGLIO proprio perché in ogni momento è stato SCELTO di renderle ancora più interessanti. A volte la semplicità non è una vera scelta, ma solo il frutto di aver fatto una cosa al volo, che suona bene alla prima, ed averla lasciata così com’è. Pigrizia travestita da spontaneità.

Cardiacs - Will Bleed Amen

 

Un altro elemento che trovo centrale nella musica dei Cardiacs è una certa pomposità. Specialmente nella seconda parte della carriera, quando alle tastiere stralunate e circensi di Drake sono succedute tastiere dal suono più enfatico e da una produzione più “pompata” e compressa. Un elemento di per sé negativo che diventa però funzionale e caratterizzante per la miscela sonora della band. Sei d’accordo con questa affermazione?
Uhm, in realtà questa volta non sono d’accordo: secondo me un po’ di pomposità (ma che preferirei definire “maestosità”) è più presente nel periodo in cui c’era William D Drake, grazie a questi grandi suoni ed accordoni di mellotron o di organo presenti soprattutto nei primi due album. (Mi viene in mente “In a city lining” dal primo album “A man and a house and the whole world window” del 1988). Nella seconda parte della carriera in realtà i Cardiacs si sono piano piano asciugati nei singoli brani, mediamente più brevi e concisi, tranne qualche eccezione come ovviamente “Dirty Boy” da “Sing to God” del 1996, o la coda geniale di “Jitterbug” presente su “Guns” del 1999.

Cardiacs - In a City Lining



Nella prima parte di carriera il suono poggiava molto sull’interplay tra le tastiere di William D Drake e il sax di Sarah Smith. Dopo l’abbandono dei due, la decisione di non sostituirli, puntando piuttosto su un secondo chitarrista (anche se la Smith stessa e il sassofono sono tornati in diversi pezzi) ha inciso molto sul sound della band. Puoi parlarci di come questo cambiamento di formazione abbia inciso sull’evoluzione della band?
Quando Tim Smith scoprì William D Drake scoprì che c’era finalmente un elemento del gruppo per cui poter scrivere delle pagine di musica che non poteva perseguire da solo: fu davvero come aggiungere un altro colore alla propria tavolozza. Ed oltre a questo William D Drake portava anche le sue idee nel gruppo. Sono pochi i brani dove il contributo di Drake non sia stato fondamentale, tra tutte sicuramente “The everso closely guarded line”, la chiusura epica di “On land and in the sea” (1989). Nel momento in cui Drake lascia il gruppo, Tim si ritrova nuovamente a dover scrivere “solo” per chitarra. Il primo album senza Drake, “Heaven born and ever bright” del 1991, è sicuramente il disco con la presenza maggiore di chitarre di tutta la discografia.

Cardiacs- "The Everso Closely Guarded Line" HQ Audio

Tocca ora fare anche un po’ l’avvocato del diavolo e parlare dei difetti che vengono attribuiti alla band. Tra le caratteristiche che tengono a distanza molti ascoltatori notiamo: un’eccessiva e schizofrenica frammentarietà, l’amore per una certa complicazione fine a sé stessa, un massimalismo che priva di respiro la musica e soffoca anche gli spunti pregevoli della scrittura, la resa parossistica di una certa tendenza “lunatica” e tipicamente britannica. Ti sembrano in qualche modo perlomeno comprensibili queste critiche/perplessità? Se fossi in tribunale come difenderesti i Cardiacs da queste accuse?
Capisco benissimo queste accuse ma non riesco a dar loro nessun significato oggettivo prettamente musicale. Purtroppo il modo in cui una musica può essere ricevuta e capita non può prescindere dall’indole del singolo ascoltatore. Senza voler generalizzare, si può tranquillamente affermare che il 90% degli ascoltatori di musica appartiene ad un certo compartimento stagno da cui raramente si discosta: il fan sfegatato di Zappa non potrà mai godere allo stesso modo ascoltando 40 minuti di Sister Ray live, così come chi impazzisce per Marc Bolan non potrà mai capire il senso né la bellezza di un cambio di tonalità o di tempo. Io stesso una volta mi trovai in sala a proporre un brano che aveva una strofa in 7/8 ed il batterista non ha saputo fare di più che chiedermi “ma perché?” L’idea di poter suonare una parte “dispari” non era contemplabile, anzi, era ricevuta con disprezzo. La risposta alla domanda “perché” dovrebbe essere sempre “perché no?” Se una persona ha apertura mentale è disposta ad accogliere tutto, non ha paura di lasciarsi sorprendere da ciò che non conosce, non ha paura di sorridere, di abbracciare qualcosa di nuovo. Ma nel momento in cui l’unico modo per sopravvivere a questo mondo è darsi un tono, tirarsela, mettersi gli occhiali scuri perché “nessuno mi deve vedere in faccia” è chiaro che anche la musica non sarà altro che un’estensione di questo modo di pensare. Tappezzeria musicale che li aiuti a tenere il drink in mano, sperando che quel drink li renda abbastanza disinibiti da procacciarsi un modo per continuare la specie. Ed in fondo è solo questo che la natura ci chiede. Per cui chissà, in realtà è proprio chi cincischia nel pensare troppo e nel distrarsi troppo – anche con una canzone – a dover abbandonare questo pianeta. Dicevamo?

La figura di Tim Smith è certamente ascrivibile alla grande tradizione attitudinale di certi “irregolari” britannici che va oltre il tipo di musica (possiamo citare ad esempio Mark E Smith e Syd Barrett). In Italia però la figura di Smith è balzata brevemente agli onori delle cronache solo in occasione della sua scomparsa. Sappiamo che alcuni nomi di spicco hanno una passione per la sua musica e recentemente c’è stato l’endorsement di peso di Dave Grohl. Sappiamo anche che Smith ha ricevuto una laurea honoris causa da parte del Royal Conservatoire of Scotland. Non sappiamo però se si tratti di casi isolati o meno. Ci puoi dunque parlare di come e quanto siano considerati i Cardiacs dalla critica britannica?
Io credo che anche prima della morte di Tim Smith certa stampa specializzata abbia finalmente cominciato a rendersi conto del genio e dell’unicità di Tim. Fortunatamente a volte il tempo mette a posto le cose, per cui questa non è più musica che va giudicata in base alle vendite o a quanto andasse di moda all’epoca, ma viene giudicata per il suo valore intrinseco. Graham Coxon, Steven Wilson, Dave Grohl, Mike Patton… sono innumerevoli e – anche solo facendo riferimento a questi quattro nomi – soprattutto di provenienze diverse gli artisti che hanno riconosciuto il valore assoluto di questi dischi e di questa musica. Quello di Tim è davvero un linguaggio suo, fa genere a sé, non esistono band simili ai Cardiacs.

Che tu sappia c’è mai stato un attimo alla “sliding doors”, nel quale la loro carriera ha rischiato di giungere a un punto di svolta verso una maggiore notorietà o sono stati sempre destinati ad essere solo un gruppo cult? Chessò… un momento in cui qualche figura nota si era messa in testa di far conoscere la musica dei Cardiacs producendo loro un disco oppure se Smith abbia mai avuto la tentazione di normalizzare il proprio suono.
Bella domanda. Intanto chiariamo subito una cosa: fin da metà anni ’80 tutti nell’ambiente musicale si erano resi conto della forza della band. Molte sono state le proposte da parte di etichette di metterli sotto contratto, ma loro hanno sempre voluto salvaguardare la loro libertà ed integrità artistica, preferendo rimanere indipendenti. Nel 1991 sembrava che avessero trovato l’etichetta giusta firmando con la Rough Trade, che però andò in bancarotta subito dopo l’uscita dell’album “Heaven born and ever bright”, lasciandoli senza nessun sostegno, anche economico. Nel 2005 fu proprio Mike Patton con la sua Ipecac a volerli nel loro roster per un disco nuovo, che però semplicemente non era ancora pronto e non se ne fece più niente. Da segnalare se vogliamo anche un’altra sfortuna, quando nel 1988 il successo di “Is this the life” fu frenato da meri problemi tecnici, con l’enorme domanda da parte del pubblico di comprare il singolo e l’impossibilità di poterne stampare e mettere in vendita un numero adeguato in tempi veloci. Neanche l’avessero chiesto ad Astra Zeneca!

Tempo fa ho visto su Youtube il conferimento a Tim Smith del dottorato onorario citato in precedenza. Si tratta di un filmato molto toccante per la presenza sul palco, defilata in un angolo, di Smith nella sua carrozzina, ma che colpisce soprattutto per il silenzio assordante di un artista che si caratterizzava per una forte iperattività sonora… Eppure nonostante il silenzio emergeva da quella inerte presenza sia il carisma che la tenerezza che il suo sorriso infondeva nell’aria. Ci puoi disegnare un profilo dell’uomo Tim Smith?
Ho provato tante volte a capire chi fosse l’uomo Tim Smith. Attraverso le sue canzoni, le interviste, le immagini dei concerti, le foto, le testimonianze di chi l’ha conosciuto… il mio stesso ricordo dopo averlo incontrato a Londra nel 2007, alla fine del loro concerto. Con me fu disponibilissimo, gli dissi che ero venuto a Londra solo per il loro concerto e che il giorno dopo sarei già tornato a Roma e mi ha abbracciato ed era sorpreso. Mi ha sempre colpito il fatto che praticamente in ogni foto di lui fuori dal palco che ho visto avesse addosso una maglietta del suo gruppo. E’ rinomato che non ci sia niente di meno figo che portare la maglietta del tuo stesso gruppo. Ma queste sono convenzioni, sovrastrutture: Tim mi ha sempre dato l’idea di non conoscere tutte queste cose “umane troppo umane”, quasi come se fosse, alla fine, un bambino innocente, puro, che non sapeva per quale razza di motivo mischiare prog e punk dovrebbe essere sbagliato. Era una persona libera, ed in questo era molto simile a Zappa, l’altro artista che più di tutti ha saputo mischiare generi diversi solo per il puro amore della musica. Molti dicono che lui non riuscisse veramente a rendersi conto di quanto la sua musica avesse toccato così tanta gente. Perché l’altra cosa che ho notato nel tempo è che sì, poca gente conosce i Cardiacs ed ancora meno li capisce, ma per tutti quelli a cui piacciono sono la band della vita, anche per me è così. In “Swimming with the snake”, dal suo disco solista, c’è questo verso “And I love you /And I know you can’t love me there too / Can’t hold her hand to ease the pain inside my heart / Drowns me / out of depth / Over my head” (E io ti amo /E so che non puoi amarmi neanche là / Non posso tenere la sua mano per alleviare il dolore dentro il mio cuore / Mi affoga / fuori dalla profondità / Sopra la mia testa) che mi ha fatto sempre credere ulteriormente alla sua fragilità, al suo candore.

TIM SMITH swimming with the snake 1995

Infine abbiamo parlato della tua passione per i Cardiacs come ascoltatore. Se invece uno volesse cercare le tracce di questa passione nella musica di Sterbus che cosa e dove le troverebbe?
Io ho conosciuto la musica dei Cardiacs nel 2006, a 27 anni, quando già da almeno 10 anni scrivevo canzoni. Ovviamente Tim mi ha aperto un’ulteriore mare di possibilità, mi ha “mostrato” in che modo una canzone potesse evolversi, attraverso accordi, melodie, ritmiche, arrangiamenti…. Sicuramente c’è un “Avanti Tim e un Dopo Tim” nella mia scrittura. L’album “Smash the Sun Alight” del 2012 (che già nel titolo cita un verso di “Home of Fadeless Splendour”) ma soprattutto “Real Estate/Fake Inverno” del 2018 non esisterebbero nel modo in cui sono se non avessi mai ascoltato i Cardiacs. Brani come “Prosopopeye” devono tanto a Tim. E per me è un immenso orgoglio sapere che Tim stesso abbia ascoltato la mia musica, che gli sia piaciuta, e che abbia voluto procurarsela. Uno dei complimenti migliori li ho avuti da Mark Cawthra, amico di Tim e primo batterista della band, che dopo aver ascoltato alcune mie canzoni mi disse “I love the way it works.. You can hear the influence, but its not merely Tim-By-Numbers, know what I mean. I lot of people do that car-crash key change thing without getting it right, Tim’s big gift to the world, but you have to do it his way and pick the right changes!” (Adoro quello che sei riuscito a fare… Puoi sentirne l’influenza, ma non è semplicemente Tim-By-Numbers, sai cosa voglio dire. Un sacco di gente prova a fare quel “cambio di tonalità da incidente d’auto”, che poi sarebbe il grande regalo di Tim al mondo, ma senza riuscire a farlo nel modo giusto, Devi farlo alla sua maniera e scegliere i cambi giusti!)

Sterbus - Prosopopeye