Quella che segue è la trascrizione di “incontro” avvenuto circa due mesi fa.

La scena è un’afosa giornata d’estate. Il caldo non lascia scampo e riesce nel difficile compito di riunire, in un’unica cappa di sofferenza, una nazione che più che la bandiera è solita da secoli dedicarsi ai propri campanili.

In questi casi, l’unico refrigerio diventa l’evasione mentale e qualcuno, come il sottoscritto, è diventato molto abile nell’arte dell’escapismo artistico, che consiste nell’utilizzare ganci culturali, possibilmente roba da nerd tipo dischi dimenticati o commedie che non hanno mai trovato distribuzione nel proprio paese, per proiettarsi altrove, possibilmente in un paese freddo e piovoso. E così, d’un tratto, ad esempio, ci si ritrova in Inghilterra a sorseggiare un tè che già alla seconda sorsata però sembra corretto con del – neanche troppo pregiato – Valpolicella.

Nemmeno il tempo di indagare sulla cosa, che mi ritrovo addosso lo sguardo stropicciato di Sirbilly. Sembra un po’ smagrito: saranno gli anni o forse l’immancabile bicchiere che da sempre ne completa la figura. Ad ogni modo, al netto delle rughe, la faccia è quella di sempre: impossibile sbagliare. Indossa ancora quella vecchia maglietta, ormai logora, con la scritta “My favourite thing has gone away and I know it won’t be easy now… but I’ll manage somehow”. Me la ricordo bene quella canzone e, un po’ per ingraziarmelo e un po’ perché lo penso davvero, esordisco dicendogli:

“Ho sempre pensato che quella frase non contenesse solo l’essenza stessa di tutto il brit-pop, ma che in generale fosse una delle migliori linee di testo mai scritte per rendere il senso di eccitazione tipico della gioventù. La sensazione di perdere qualcosa mentre la si sta vivendo, con la consapevolezza però che in qualche modo la si riuscirà comunque a sfangare.”

Strappo un mezzo sorriso al Lord che, tradotto nella moneta avente corso legale nella sua nazione unipersonale, vale un patrimonio… decido dunque di non dissiparlo:

“Quando i Menswear hanno mandato tutto in malora, quasi ho esultato: non mi andava che tale perfezione venisse rovinata da lavori successivi… magari roba ordinaria, pubblicata da professionisti brizzolati…”

Gli tiro fuori finalmente una frase: “Già, meglio ricordarsi (io, tu e forse altre tre persone…), di Johnny Dean nell’esatto istante in cui indossa la giacca da ussaro a Top of The Pops, sculettando su I’ll Manage Somehow”.

Menswear - I'll Manage Somehow, TOTP 30/03/95

A questo punto forse occorre spiegare a qualcuno dei lettori di che diavolo stiamo parlando io e il Sir. Si discute dei Menswe@r, ovvero di uno dei più grandi flop della storia del pop britannico e segnatamente di quel fenomeno andato sotto il nome di Brit-Pop. Una scena musicale che per qualche anno aveva infiammato gli appassionati di musica rock per poi venire quasi ripudiato quando ci si era accorti che no, Noel Gallagher non era un nuovo Paul Weller. Se la critica “seria” aveva cominciato a bollare l’intero fenomeno come superficiale e iper-derivativo, figuriamoci quali potevano essere le parole spese per i Menswear, ovvero il grande bluff del brit-pop: gruppo-fantoccio finito sulle copertine delle riviste prima ancora di aver inciso un solo singolo, nonchè progetto costruito a tavolino al solo fine di replicare in un’unica band i successi di Pulp, Suede e Blur.

Sirbilly risponderebbe che quella critica li aveva proprio rimossi i Menswe@r (scrivevano la “a” come una chiocciola… quando si dice abbondare con i vezzi) e che la rivalutazione degli ultimi anni è solo un patetico risarcimento tardivo.

Qualcuno di voi si chiederà il motivo di tanta acrimonia… La ragione è che il Sirbilly all’epoca era stato l’unico a credere nei Menswe@r o meglio era stato l’unico che aveva continuato a farlo, quando tutti avevano cominciato a scaricarli.

Francamente non ricordo in che faccende fosse affaccendato il Sir in quel periodo: ha sempre avuto la capacità di sparire dai radar ogni volta che ha voluto… ma – considerato che proprio il 23 ottobre uscirà un mega cofanetto in cui, oltre ai due album in studio della band, Nuisance e Hay Tiempo, verranno pubblicate diverse rarità e brani inediti – mi viene in mente che magari ci tiro fuori un buon pezzo per il blog e dunque comincio l’intervista:

Mi spieghi cosa hai intravisto in loro fin dall’inizio? Non dico che i fatti ti abbiano dato ragione, ma in fin dei conti si trattava di una bella band che avrebbe decisamente meritato di più…

Non parlerei di preveggenza, era assodato il loro orologio biologico, nati già morti per coprire un mercato bulimico. Non era la prima volta che in Inghilterra succedeva e non sarebbe stata nemmeno l’ultima. A colpirmi davvero fu il grado di cattiveria, la sventagliata di malignità trasversale che si abbattè sulla band in un nanosecondo. Fu mera faccenda di viscere dunque, qualcosa di molto istintivo. Mi sembravano la perfetta band sixties solo superficialmente scioccherella. Erano inseriti nel minestrone brit pop ma annusavo una fortissima componente glam rock (Stardust è una Suffragette City che non ce l’ha fatta), movimento sul quale mi sono formato e accorpato. Movimento – aggiungo – sul quale gli inglesi periodicamente tornano sempre ad abbeverarsi. Fu solo dopo averli visti dal vivo che il mio interesse verso Nuisance (che reputavo un ottimo disco incredibilmente ostracizzato, soprattutto in patria, considerato alla stregua di un prodotto da boy band) si tramutò in ossessione. Volevo sparissero, mi infastidiva ‘fisicamente’ vederli trattati come il male assoluto dell’intera storia musicale. A tal proposito c’è la scena iniziale di Kill Your Friends (filmaccio beghino del 2015 sulla cattiveria dell’industria discografica britannica) in cui il protagonista – un A&R rampante – si reca a casa del suo collega per una notte di cocaina e alcool… Guardando la sua collezione di cd prende quello dei Menswe@r e lo getta sdegnosamente a terra, canzonandoli e tacciandoli di assoluta imperizia. Ecco, questo spiega tutta l’acredine che si è radicata nell’immaginario collettivo. [Nel libro da cui è tratto il film, l’A&R rampante, dopo aver cercato di uccidere il collega, mette su il disco dei Menswe@r e, strafatto di coca, lo schiaffeggia con il cd urlando: Che cazzo lo tenevi a fare?!]

Ci vogliono palle quadre per affrontare quello che affrontarono loro, credimi (per molto meno un MilliVanilli si ammazzò, per dire). Nessuno osò alzare un dito in loro difesa. Nessuno. Beh, quasi nessuno: io mi immolai.

Raccontami com’è andata? Come si è formato il gruppo? Era davvero un prodotto studiato a tavolino? Come furono accolti in un primo momento dalla stampa e cosa fece cambiare l’atteggiamento nei loro riguardi?

Le leggende rimangono fumose nonché sibilline e tramandano l’interessamento di Russell Senior dei Pulp, lesto a portarli alla Laurel intravedendone il potenziale commerciale. Fu lui a scegliere il nome, se ricordo bene. Quando la stampa cominciò ad interessarsi a loro il gruppo ancora non esisteva. Avevano solo tre canzoni in repertorio – vado a memoria: I’ll Manage Somehow, Daydreamer e, credo, Being Brave – tre singoli fatti e finiti. Tempo due settimane e un anticipo clamoroso (si parlò di 750.000 sterline) i canini della stampa britannica grondavano sangue. Non perdonarono loro l’irruzione – reclamati a gran voce – a Top Of The Pops senza avere un solo straccio di disco in uscita. Era la prima volta in 40 anni di popular music che accadeva una cosa simile nel Regno Unito (succederà una sola altra volta: per i Bis). Non perdonarono nemmeno le tre maggiori copertine dei settimanali inglesi con lo strillo in corpo 72: “Do Britain Best-Dressed Band Justify the Hype?”. Insomma: non si parlava dell’aspetto musicale quando si citavano i Menswe@r. Questo li aiutò tantissimo all’inizio, ma rappresentò anche la loro immediata pietra tombale. A chiosare il tutto rammento che la rivista Select fu la primissima a parlare di loro (spinta da Graham Coxon) come ‘top new unsigned band’. Peccato che il gruppo – come dicevo prima – non esistesse ancora, stavano soltanto cercando di agglomerare una banda attorno alle figure (già molto conosciute al Good Mixer e nell’abortito movimento londinese dei neo mod) di Dean e Gentry. Fatti due conti e dimmi se prima o poi qualcuno non gliel’avrebbe giurata. Rimane il fatto che è una bellissima storia, quella dei Menswe@r, con pochi termini di paragone. Volenti o nolenti.

Che tipi erano? Mi descrivi la formazione uno per uno e gli equilibri interni che si erano creati?

Il classico gruppo inglese di ragazzotti sorpresi di essere oggetto di tante attenzioni, con un frontman carismatico e acchiappa teenager e una band solida alle spalle. Credo fossero molto individualisti e che la triade Dean, Gentry e White fosse adusa a scazzi colossali che la Laurel assecondava per tirarne fuori materiale scandalistico (c’è una leggenda urbana su una storia di droga fornita dall’etichetta – e conseguente ricovero in ospedale – durante le riprese di un video, ma non è mai stata confermata o smentita ergo mi trattengo dal fare Radio Serva). Sui componenti ti rispondo nella prossima domanda.

Quando vi siete incontrati la prima volta? Li hai visti poi parecchie volte? Se non sbaglio hai portato qualcuno di loro anche a Treviso, giusto?

Non posso sicuramente definirmi amico della band, il mio era un atteggiamento da “groupie animistica” (ehi, dovrei brevettarlo questo ossimoro!). Li seguivo devotamente cercando di capire e carpire tutto l’odio che si portavano appresso. Potrei agevolmente diventare il glaciale biografo dei Menswe@r avendo caparbiamente raccolto informazioni per anni (ho anche i provini di un terzo fantomatico album mai inciso, che poi divenne parzialmente Hay Tiempo!). Johnny Dean all’epoca aveva una relazione con una ragazza vicentina che conoscevo, ergo fu abbastanza semplice combinare un incontro. Posso confermarti come fosse taciturno al limite del fastidioso. Si è scoperto solo in un secondo momento che era affetto della Sindrome di Asperger, quindi i monosillabi che sono riuscito ad estirpargli lungo un intero pomeriggio dentro un’osteria trevigiana oggi assumono un significato completamente diverso. Eppure sul palco riusciva a trasformarsi nel più snobistico figlio di puttana mai visto, strafottente al limite del fastidioso. Ho sempre pensato facesse parte di quel bizzarro e lombrosiano somatismo pop che gli inglesi sovente erano soliti seguire, se osservi bene Johnny Dean è null’altro che una crasi somatica tra Paul King e Dr. Robert dei Blow Monkeys.

A tal proposito, aggiungerei una cartina tornasole non da poco per i poseur nati ieri con valuta lunedì prossimo che ammorbarono l’intero brit pop aiutandone la fine prematura. Nessuno, ripeto NESSUNO quel pomeriggio riuscì a riconoscerlo mentre passeggiava per la città o beveva vino nell’osteria più frequentata. Nessuno, nemmeno quegli Adidasmuniti che ogni sabato sera si agitavano urlando su I’ll Manage Somehow nel club rock che frequentavo. Una discriminante (il pubblico sovente è persino peggio dell’artista) che da allora mi sono tatuato addosso. Ma non voglio divagare.

Chris Gentry… Beh, Chris Gentry [il chitarrista] era il belloccio appena maggiorenne, quello che si punzonò Donna Matthews delle Elastica, ça va sans dire. Lo conobbi qualche anno dopo quando – con Excuse Me, l’organizzazione della quale facevo parte – lo chiamammo come dj. Stendo un velo pietoso dacchè una delle più imbarazzanti serate della mia vita.

Matt Everitt [il batterista] non l’ho mai conosciuto personalmente, ma si capiva come fosse quello più concreto e focalizzato. Uscì subito dalla band per formare i prescindibilissimi Montrose Avenue. Sì, so cosa mi stai chiedendo: ho pure i loro dischi. Nessuno è perfetto. Oggi Everitt è un famoso speaker per BBC6.

Su Simon White [l’altro chitarrista] spenderei due parole in più. Passai una settimana circa con lui a Londra, ci conoscemmo ad una serata di Victor de Milo dove lui faceva il dj e io sfoggiavo la famosa t-shirt ‘My favourite thing has gone away…’. T shirt che mi ero fatto stampare personalmente (immolandomi come un Pietro Micca qualsiasi) e che mi ha sempre salvato ogniqualvolta avessi qualche problema con le ‘foemine’ dacchè massima da farsi tatuare sul perineo. Credo fosse il 1999, quindi quando loro erano davvero i parìa della discografia britannica. Era talmente incredulo di trovarsi davanti un fan d’oltremanica – pronto ad affrontare l’ostracismo di tutti- da mollare la consolle e venire ad abbracciarmi senza dire una sola parola. Sembravamo reduci da ‘Carramba che sorpresa!’. Lavorava da Sherry’s a Carnaby Street. Andai a trovarlo e uscimmo assieme qualche sera, scroccava un sacco di sigarette. Ho sempre pensato fosse lui il vero musicista, quello con le idee giuste al momento giusto. Era quello con un minimo di esperienza pregressa (aveva inciso qualcosa con i Cooler Than Jesus – scopriteli) e difatti mi invitò a vedere il suo nuovo gruppo che suonava al 100 Club di supporto ai Dodgy. Mi annoiai a morte. Credo sia diventato poi il manager dei Bloc Party o qualcosa del genere. Stuart Black [il bassista] non l’ho mai conosciuto.

Com’erano dal vivo? Avevano un tiro? Personalità? Com’era come frontman Johnny Dean?

Dal vivo ti assicuro che erano una band stratosferica, molto meglio di tante stelle osannate da decenni (dico Suede). Una banda coesa, compatta, con una manciata di grandi canzoni, un frontman perfetto dall’aplomb bowiano (se trovate l’intervista della Maugeri a Telemontecarlo guardate come Johnny Dean la asfalta. Letteralmente) e un retrogusto glam che per gli inglesi è come il tè delle cinque.

Ok la strafottenza che incarnava l’essenza stessa del fenomeno brit-pop (poi ci torniamo su questo), ma dal punto di vista del talento musicale secondo te quali erano gli assi della band? Quelli che hanno contribuito a rendere Nuisance un cult, Hay Tiempo un tesoro nascosto e la carriera troncata un grosso rimpianto?

Mi ripeto ad lib: credo che dentro i Menswe@r la componente brit pop sia uscita preponderante solo in fase di produzione, levigandone le asperità. Già la primissima versione in studio di “I’ll Manage Somehow” è molto più muscolosa di quella finita nel 45 giri. Avevano personalità e gusti molto eterogenei e interessanti. “Daydreamer” è uno degli apocrifi Wire più belli di sempre e non un plagio spudorato a “Three Girl Rhumba” come fecero le Elastica. Eppure queste furono assise nel regno dei cieli e i Menswe@r giustiziati sulla pubblica piazza. “Being Brave” potrebbe essere inserita in Rio dei Duran Duran e nessuno obietterebbe. La loro cover di “Public Image” cola ruggine e vetriolo.

Menswear - Public Image

“Piece Of Me” è un pezzo per il quale Brett Anderson strangolerebbe una dodicenne. Di “Stardust” ho già detto. Rimane dunque “I’ll Manage Somehow”, una di quelle canzoni che becchi una volta nella vita. Con “Alright” dei Supergrass per me rappresenta veramente la Polaroid di quegli otto mesi irripetibili nonché uno dei singoli più belli, adolescenziali e immediati di sempre.

A dispetto di 25 anni di calunnie Nuisance rimane un gran disco, Johnny Dean un bravissimo vergatore di liriche (i testi sono meno sciocchi di quanto si possa pensare), “We Love You” un singolo che ondeggia tra Beatles e Beach Boys e – per finire – Hay Tiempo! un atto di coraggio musicale raramente osservato nella discografia dell’intero pianeta. Riscopritene l’umbratile amarezza. Mi preme aggiungere come in un progetto come i Menswe@r nulla fosse lasciato al caso, dal vezzo della @ alla grafica perfetta, stilosa ed essenziale. Sembravano nati per morire. Non potevano non colpirmi.

Menswear - We Love You (Official Video)

Dì la verità: li ami così tanto perché rappresentano un’occasione persa, una magnifica dissipazione di talento, un mandare tutto a puttane, un rifiuto, forse inconscio, nei confronti del mondo. Insomma, li ami così tanto perché sono dei magnifici perdenti?

Sicuramente. Non avrei tollerato di vederli cucinare quattro album tastando ciecamente il terreno e la discografia o evaporare come dei Cast qualsiasi. Gruppi come i Menswe@r per loro natura devono essere crisalidi, sbocciare e bruciarsi prima che tu te ne accorga di averli avuti tra le mani. Solo i perdenti sbagliano volutamente il rigore. Del resto come recita l’assioma del vecchiaccio? ‘Meglio bruciare di colpo che bla bla bla’. Averne intravisto subito la ricchezza cromatica delle ali mi fece ‘adottare’ la band remando contro vento per un quarto di secolo. Mi ricordavano i Monkees, ecco. Il tempo è galantuomo, sono certo che molti soloni ora sgomiteranno per accodarsi al carro delle ristampe. Ma ne sono felice, è giusto che Dean & Co. siano rivalutati come meritano.

Perché hai fatto del pop britannico la tua religione? Concentrandoti per di più sui nomi minori e i tesori nascosti?

Perché non ho potuto vivere l’estate del 1967.

Se lo avessi fatto, ti saresti appassionato ai Monkees?

Mi sono appassionato ai Monkees comunque. Così come a tutto il bubblegum pop (i 1910 Fruitgum Company, ad esempio). Credo ci sia un sottile filo inconscio che lega alcune band. Che le lega a me, intendo.

Cosa è stato esattamente il brit-pop?
Un fenomeno musicale: il pop dei sixties che – via glam – tornava alla ribalta con meno raffinatezza e inventiva? Un’eccitazione collettiva che al di là degli esiti musicali fece sentire una certa generazione parte di un’unica vibrazione con inni, codici d’abbigliamento e tutto il resto a fare da collante?
Un fenomeno storico: l’Inghilterra che rialzava la testa dopo gli anni della Thatcher, senza sapere che l’orrido Blair avrebbe proseguito sulla medesima via, ma solo in maniera più subdola?
Un fenomeno politico-sociale: la sinistra da salotto che per lavarsi la coscienza mandava sui palcoscenici come scimmiette ammaestrate la vera classe operaia?

Non so se risponderti col cuore, con la pancia o con la testa. Sarò cinico allora, togliendoti tutta la poesia a sottendere: un movimento creato a tavolino, sfruttando l’onda lunga dei prodromi del biennio 93/94 (Blur, Suede) per combattere lo strapotere grunge e far cassa.

E’ stato davvero insieme al Grunge (altre latitudini e altre sensibilità) l’ultimo fenomeno generazionale del rock?

Non credo, personalmente voterei l’acid house come reale e coeso movimento generazionale. Ma il brit pop è la bandierina colorata che rende più accattivante un cocktail. Poi la getti, ma mentre sorseggi il liquoroso nettare te la rigiri divertito tra le mani, fischiettando.

A tuo avviso è impossibile cogliere il senso e l’eccitazione del brit-pop slegandolo dalla narrazione che ne facevano in diretta le riviste inglesi?

Certamente, ti dirò di più: è impossibile a maggior ragione se in quei giorni forsennati non eri fisicamente in terra d’Albione; diventava dannatamente complicato comprendere cosa stesse davvero accadendo. Fuori dall’isola arrivava la risacca di un movimento carnascialesco, sciocchino, isterico. Con poca sostanza. Quel 14 agosto 1995 ero lì, e la tensione della battaglia Blur Vs Oasis era davvero palpabile per le strade, come se fosse la finale di Coppa d’Inghilterra. Sicuramente ci fu un patto extraparlamentare tra tutte le riviste del settore (che all’epoca erano tantissime) per spingere e capitalizzare il più possibile qualcosa che doveva riportare la Gran Bretagna sul tetto del mondo discografico. Ti assicuro – ero a Londra almeno ogni tre mesi per prendere i nuovi singoli proprio per sottolineare l’assioma di poco sopra – che facevano firmare cani e porci, spremendoli come limoni. Poi magari questi cani e porci per la legge dei grandi numeri riuscivano a schiaffare anche dei discreti singoli (penso a rincalzi come Speedy, DexDexter, Autopop). I Menswe@r con Hay Tiempo! cercarono di uscire da questo circolo vizioso… ma non glielo permisero. Un po’ come i Jalisse.

A proposito: perché definisci Hay Tiempo come “un atto di coraggio”? Per meriti musicali o solo perché rappresentava il loro tentativo di uscire dal meccanismo “spremi agrumi” che li aveva lanciati e stritolati? E che mi dici dei provini per il terzo disco? Dove stavano andando?

I provini del terzo disco che possiedo sono una crasi tra delle tracce che poi finirono effettivamente su Hay Tiempo! e alcuni tentativi di vedere se c’era vita oltre il brit pop oramai agonizzante. Aggiungo ad onor di cronaca che i loro lati b erano tra i peggiori di sempre, meri riempitivi, a parte quando si cimentavano nelle cover. Prendi Can’t Smile Without You (uscita nella raccolta di beneficenza Childline). È spettacolare, letteralmente spettacolare. Rappresenta la quintessenza di un immaginario mondo Menswe@ar, secondo me. Partii da lì per studiarmi Barry Manilow, per dire.

Menswear - Can't Smile Without You

Su Hay Tiempo!: te le immagini le Lush fare un disco che omaggia Neil Young, certo acid rock da west coast e i Jefferson Airplane? Credo fondamentalmente che i Menswe@r fossero arrivati al punto di dire ‘fanculo, morti per morti facciamo qualcosa che ci piace davvero’.

Menswear Wait For The Sun

Qual è la chicca del box set di prossima pubblicazione? La perla nascosta che finalmente vede la luce?

Per chi è fermo a Nuisance – ed è la stragrande maggioranza dei ‘pochi’ – forse sarà una sorpresa barra repulsione. Non vi è più nulla di quel mondo glitterato nella seconda vita dei Menswe@r. Il box è per completisti, con molte cose inutili (i lati b, appunto) ma anche sugosi inediti (“Valium”, che – appunto – ho nei provini di cui ti dicevo). Vi sono delle cose di cui ignoravo completamente l’esistenza – tipo You’re Never Alone in Tokyo – e alcuni demo interessanti. Se sei uno che ricorda i Menswe@r comunemente intesi e stop potrebbe essere uno choc. Per altri un’occasione per redimersi o convertirsi sulla via per Damasco.

Ma alla fine, hai “capito tutto l’odio che si portavano appresso”?

Come dicevo prima credo sia ascrivibile alla fortissima spinta primeva. Le band inglesi di solito non hanno bisogno di fare gavetta – a differenza di quelle americane che girano mesi su un furgone sgangherato – ma nel caso del Menswe@r questo assioma fu spinto ad un limite invalicabile, cassandone ogni velleità meramente musicale. Una cosa del genere non era mai successa in 40 anni di pop music, e non si è più ripetuta. Poi sai, “la calunnia è un venticello…”

Un’ultima cosa, allora: che diavolo c’entrano i Jalisse?

Mi guarda con un sorriso sardonico, di quelli che ti fanno sentire un ragazzino, nonostante anche sul tuo groppone gli anni abbiano cominciato ad accumularsi già da un po’. Un mucchio di collegamenti mentali che mi sfuggono e poi… neanche il tempo di ricordare anche solo il titolo di una canzone dei Blow Monkeys e SirBilly é già sparito.

We’ll Manage Somehow.