Una delle leggende meno celebrate della storia del rock è certamente l’episodio che ha portato alla nascita del nome GuruBanana. La storia è questa: Andrea Fusari stava svolgendo il suo tranquillo e noioso lavoro di ufficio, quando si ritrovò a indicare la finestra della stanza in cui lui e i suoi colleghi passavano le giornate. Il gesto di Fusari colpì l’attenzione di Caldoro, collega affetto da narcolessia lavorativa, ma personaggio utile all’amministrazione e ai colleghi in quanto dall’ombra che via via generava il suo corpo durante la giornata era sempre possibile sapere l’ora. Caldoro guardò nella direzione indicata da Andrea Fusari e vide, richiamando poi l’attenzione di tutti, quello che molti da quel momento in poi sostennero essere il più bel riflesso di sole che avesse mai illuminato il piazzale antistante l’ufficio. Ovviamente i racconti sulla bellezza epifanica del momento, capace di concentrare in un unico breve istante tutto lo splendore del creato, si sprecano e qualcuno sostiene anche che la celebre Sun Energy, presente nel primo disco dei GuruBanana, sia ispirata all’episodio. Francamente non ritengo quest’ultima teoria molto plausibile, in quanto quella volta Fusari non voleva affatto indicare la bellezza dei riflessi del sole sullo spoglio piazzale limitrofo, quanto un residuo di escremento di mosca presente nella finestra dell’ufficio che lo infastidiva alquanto: come impiegato pubblico riteneva infatti fosse suo diritto criticare costantemente il livello di pulizia assicurato dalla struttura statale che lo ospitava.
Tuttavia, quando da quel momento in ufficio tutti presero a rispettarlo come un individuo capace di scorgere – persino nello squallore ordinario di un ufficio amministrativo – quel particolare tipo di poesia in grado di elevare lo spirito con la sua semplice ma rivelatrice bellezza, egli non fu sorpreso. L’acquisizione del ruolo di guru presso una popolazione aziendale evidentemente affamata di spiritualità a buon mercato, confermò semplicemente ad Andrea Fusari qualcosa di cui da alcuni mesi aveva avuto sentore: qualunque idiozia dicesse o facesse, la gente rimaneva colpita come di fronte al più grande atto di genialità.
Non erano passate infatti che poche settimane da quando Giovanni Ferrario, amico da una vita, musicista sopraffino dal curriculum leggendario, nonché dispotico organizzatore di session di registrazione, aveva ascoltato delle incisioni casalinghe effettuate da Andrea in un momento di strana eccitazione. Quelle registrazioni, che Fusari aveva cominciato a portare in giro chiedendo agli improvvisati ascoltatori: “scusa, sai dirmi che roba è?”, aveva penetrato la burbera corteccia di Ferrario che vi si era gettato febbrilmente sopra, tirandone fuori quello che sarebbe diventato il primo omonimo disco dei GuruBanana, duo sorto appunto dalla collaborazione tra Fusari e Ferrario. Il nome del progetto prendeva spunto proprio dalla sensazione di Fusari di essere percepito come un guru, ma allo stesso tempo di essere piuttosto lontano dall’esserlo realmente: un GuruBanana dunque nel suo personale codice linguistico era un falso guru. Dopotutto, l’episodio dell’escremento di mosca era in tal senso rivelatorio, mostrando in tutta evidenza come lui non fosse certo il saggio che indica la luna, bensì lo stolto che guarda la merda di mosca…
Anche l’entusiasmo di Ferrario per quella manciate di canzoni stralunate gli sembrava pertanto da ricondurre allo strano fenomeno che da qualche tempo sembrava avvolgere ogni suo gesto. Ma andiamo con ordine.
Se questa fosse una monografia redatta da un giornalista serio, sarebbe giunto il momento di inquadrare il personaggio, se non altro per spiegare le ragioni che lo rendevano incredulo di fronte all’entusiasmo del futuro partner Giovanni Ferrario.
Dunque, Andrea Fusari è nato nel 1964 e per anni si è dedicato al blues. Sì, proprio il blues con le dodici battute, il Delta del Mississippi, la città di Bentonia, l’organo hammond e gli assoli sulla pentatonica. Eppure si trattava di un bluesman dal gusto piuttosto particolare, essendo allergico a Eric Clapton e avendo spesso nel tempo libero fantasticato (e invero ideato) diversi possibili scenari per uccidere Joe Bonamassa con la sua stessa chitarra. L’amore verso il blues lo porta, oltre a condurre per anni una trasmissione radiofonica che alle dodici battute affianca anche la passione verso soul e gospel, a battere incessantemente pub, locali e piazze limitrofi al proprio paese di nascita, Manerbio. Per circa vent’anni, dunque, Andrea Fusari è un cantante che batte ogni palco della regione che si dica disponibile a sentire la sua personale maniera di cantare il blues. Un modo di approcciare la materia che non ricerca la precisione filologica (mai parlargli di cover band!), ma che piuttosto – servendosi della basica struttura di questa musica – gli consentiva di improvvisare e affinare quella sgrammaticata libertà che ritroveremo poi nelle sue composizioni autografe.
“Il blues è interessante nel momento in cui non è tecnico, perché a quel punto ti costringe a usare la fantasia per creare qualcosa che prima non c’era”
E dunque quando una sera, in preda ad astratti furori, Fusari comincia a registrare di getto le canzoni che andrà poi a proporre a Giovanni Ferrario, lo vediamo procedere nella maniera più sgrammaticata e libera possibile. Le regole di ingaggio sono le seguenti: nessun limite di stile, nessuna idea preconcetta, perché se non hai la minima progettualità, allora sei costretto a pescare dentro di te e quello che verrà fuori sarà, nel bene e nel male, nient’altro che te stesso.
Ma si diceva della mancanza di grammatica e di libertà: per dirvi del livello, Andrea prende delle canzoni in MP3, ne isola parti di batterie in cui incidentalmente non sta suonando nessun altro strumento, le mette in loop e comincia a cantarci sopra le prime linee melodiche che gli vengono in mente. Quando poi si tratta di aggiungerci delle parti di chitarra si affida unicamente alla propria elementare tecnica e a quella – di gran lunga superiore – dell’amico Angelo Fontana, che però viene castrata al fine di far rimanere tutto un abbozzo lo-fi (ancora oggi al suono del campanello Fusari sussulta, attendendo prima o poi la notifica di una citazione in giudizio per non aver pagato i diritti su parecchi “furti” di batteria…).
Come abbia fatto Giovanni Ferrario a trarre da questo brogliaccio di canzoni, vergato in bassa fedeltà e capace di far apparire come un riccardone anche il compianto Daniel Johnston, un disco della bellezza del primo lavoro a firma GuruBanana rimane ancora oggi un mistero (certo, meno misterioso del fenomeno che ha portato qualche hipster locale a esclamare anche in questa occasione: “Era meglio il demo!”).
Se il talento di Ferrario è indiscutibile, va anche detto che la ragione della riuscita artistica del lavoro va ricercata nel particolare accordo che si è venuto a creare tra la pasta sonora della voce di Andrea, le melodie che questa intona e la visione musicale di Ferrario. Come nelle peggiori commedie romantiche per adolescenti, dove alla fine il protagonista si scopre innamorato della migliore amica che conosce fin dall’infanzia, Fusari e Ferrario si frequentano da una vita, ma solo nel 2008 capiscono di essere (più o meno) fatti l’uno per l’altro, almeno quando si tratta di arrangiare brani a metà tra i R.E.M. del periodo I.R.S. e i Views mancati della AV Arts (Cold Water), oppure quando si tratta di mettere in piedi filastrocche che rubano il riff ai Velvet Underground (Bucky-Bucky), che vengono fischiettate, sbarazzine e con la testa tra le nuvole alla stregua di un Dan Treacy (G.B. Lost his Mind) o che dimostrano finalmente come tra Beach Boys e Ramones non vi sia alcuna differenza (Martin) o che, infine, provano a ipotizzare, tra bassi profondi e tastiere serpeggianti, dei Blur alla deriva nello spazio e senza William Orbit a incasinare tutto (Wasting Time).
Se questi sono i brani che “riempiono” il programma, che dire di quelle piccole, ma preziose miniature di dimesso rock lo-fi per cui qualche studente americano negli anni novanta avrebbe certamente ucciso il proprio compagno di college? Alludiamo a brani come Loose, firmata a quattro mani da Fusari e da un Ferrario che aggiunge per l’occasione un pianoforte e tutto un carillon di suoni ondeggianti che enfatizzano il romanticismo scalcagnato del brano, oppure come Shoop che ruba la sbilenca perfezione pop di gruppi come They Might Be Giants, aiutandosi con organetti deraglianti e fischi reverberati o infine come Shag, barrettiana fino al midollo, adagiata su un puzzle sonoro dai perfetti incastri di synth, basso e chitarra. Infine la già citata Sun Energy, piccolo sole comodamente inscatolato dentro un brano gospel per pianola Casio, che qualcuno riconduce al famoso episodio della merda di mosca e qualcun altro all’incontro di Fusari nientemeno con Kevin Ayers.
La vicenda a dire il vero è avvolta nel riserbo più totale, ma questa che sto per raccontarvi risulta essere la versione più accreditata. Quel giorno Andrea Fusari, invogliato da un sole particolarmente caldo per la stagione, era uscito per fare una passeggiata in un campo appena fuori paese. Le immancabili cuffie nelle orecchie trasmettevano “Whatevershebringswesing” disco del 1972 pubblicato dal musicista inglese Kevin Ayers. Giunto alla quarta traccia, l’auricolare di Andrea aveva cominciato a fare scherzi e la musica di Kevin Ayers era sparita dalle sue orecchie. Era seguita una bestemmia a mezza voce, ma nulla più, in quanto Andrea conosceva bene le ragioni del guasto: cercare di riparare gli auricolari con il filo interdentale era stata davvero un’idea idiota (che tuttavia gli era valsa i complimenti di diversi esperti di hi-fi: che dire se non… GuruBanana!).
Quello che sorprese Fusari fu piuttosto il fatto che, sebbene la musica fosse andata via, la voce di Kevin Ayers continuasse a rimbombare dentro la propria testa. Abituato a certe stranezze (parliamo dopotutto dell’uomo che va in giro con un Fiat Doblò rosso e si è fatto crescere un pizzo brizzolato: tutte cose in sé normali, ma – converrete – che messe assieme risultano piuttosto singolari… quante persone con il pizzo brizzolato conoscete che vanno in giro con una Fiat Doblò? Ecco… ), Fusari si è semplicemente messo ad ascoltare. Sul contenuto del discorso di Ayers cala a questo punto il più stretto riserbo (anche il testo della canzone infatti si interrompe un attimo prima dell’incontro), ma qualcuno riferisce che Fusari, intento ad ascoltare le comunicazioni del musicista di Canterbury, sia precipitato dentro un pozzo (per fortuna poco profondo) presente nel campo in cui era andato a passeggiare e che – cito testualmente la mia fonte – “ne sia tornato indietro riportando su un sacco di canzoni”.
Si tratta chiaramente di una storia surreale e certamente poco credibile, ma a rendere fascinoso il racconto provvede la circostanza, questa verificata da diverse fonti, che vuole che Fusari ancora oggi si rechi presso quel pozzo ogni volta che sente di essere a corto di canzoni…
Il disco dei GuruBanana viene portato in tour da Andrea alla chitarra acustica, Giovanni Ferrario al basso, Davide Mahony alla chitarra elettrica e Beppe Mondini alla batteria (arruolato durante le registrazioni da un Ferrario piuttosto perentorio: “Ascolta questi brani! Hai quarantotto ore di tempo per impararli!”). Andrea si ritrova da ultra quarantenne a suonare in mezzo a un sacco di musicisti che vantano come minimo quindici anni meno di lui. In ambito pop-rock è quello con meno esperienza, pur essendo il più anziano del lotto. Ma, da vecchio salmone stagionato, si ritrova benissimo in questa dimensione rovesciata: il copione del musicista indie che, raggiunta la maturità, si conquista il rispetto di tutti tornando alle radici blues gli sarebbe suonato piuttosto noioso… meglio compiere lo stesso percorso, ma al contrario, no?
Ad ogni modo, per gli impegni di un po’ tutti i componenti della band le esibizioni live non possono a un certo punto che interrompersi.
Passano quindi altri due anni, prima che Fusari e Ferrario si ritrovino a incidere nuovamente. Andrea questa volta ha tirato su dal pozzo un minor numero di canzoni che dunque a suo avviso vorrebbero presentarsi come meglio rifinite. E’ il 2011 quando viene pubblicato “Karmasoda”, il secondo disco dei GuruBanana, che nel frattempo sono diventati quasi una band, potendo contare sulla presenza fissa in quasi tutti i brani di Beppe Mondini alla batteria e sulle chitarre di musicisti che da sempre girano attorno al progetto come Andrea Cogno e Angelo Fontana.
In effetti per la seconda prova assistiamo a una maggiore cura sia dal punto di vista sonoro (qua non si tratta di suonare sopra un demo casalingo), che dal punto di vista della scrittura dei brani che si presentano come meno naif e più centrati. La prima parte del programma mostra infatti come i due guru(banani) cerchino una maggiore complessità e un suono più avvolgente e attento ai dettagli (in Unscheduled Ferrario giunge a legare Fusari su una sedia mediante un cavo, al fine di farlo cantare seduto e diminuirne l’eccessiva enfasi canora…), ma potrebbe far capolino l’idea che si sia persa qualcosa della freschezza dell’esordio. Fino a quando non si giunge alla traccia numero cinque che poi è quella che dà il titolo all’intero lavoro. Si tratta di Karmasoda colossale tour de force ferrariano che imbastisce un rock dubbato in levare che richiama i Clash di “Combat Rock”, ma anche i Blur di “Think Thank”. A quel punto, il disco decolla con Talking on Numbers che ruba la melodia di Waterloo Sunset per condurla verso altri accorati lidi, così come fa la conclusiva B.J. Core che immagina il riff di Day Tripper suonato da Peter Buck e gli sovrappone le melodie dei Monkees. In mezzo, troviamo la gentile South of Haparanda che richiama le scarabocchiate rotondità pop dell’esordio e la perfect song Monochrome Elvis (alla voce anche Isabella Mondini, sorella di Beppe) che, nelle mani di un Michael Stipe o di un Black Francis, avrebbe fatto sfracelli in tutte le classifiche indie di ieri e di oggi.
Durante le session di registrazione avviene però un fatto strano. L’ennesimo, direte voi, stanchi del deragliare eccessivo di questo racconto, ma – a costo di ridurre ulteriormente la credibilità dell’articolo – non posso non darvene conto. Durante le registrazioni del brano Karmasoda, Beppe Mondini è impegnato a suonare i pattern che serviranno per la parte centrale del brano: quella su cui verrà posizionato lo spoken words e la cosiddetta sezione dub del brano. Andrea Fusari è particolarmente eccitato dalla piega che sta prendendo la canzone: la sua maniera di cantare si è ispirata a David Byrne e pensa proprio a quale batteria gli piacerebbe suonasse in quella sezione. Vi pensa così intensamente che… ecco che Beppe si allinea esattamente al suo pensiero! E mentre lo fa, lo guarda annuendo. In breve i due capiscono di essere telepati e di potere comunicare senza l’ausilio delle parole.
Chiaramente, Andrea è piuttosto scosso dalla cosa e quella sera stessa, avendo necessità di fare rifornimento all’auto, fa un tentativo anche con il benzinaio da cui di solito si serve. Parcheggia il suo Fiat Doblò rosso, fissa dritto negli occhi il tizio e pensa intensamente alla frase: “Venti euro di diesel!”. Il benzinaio, ovviamente, non coglie il messaggio medianico che Fusari invia (ma, considerandolo – come tutti – un guru, vede in quel silenzio una precisa scelta green e, colpito dalla particolare fierezza dello sguardo concentrato di Fusari, il giorno dopo decide di abbracciare la causa: chiude la stazione di rifornimento e cambia vita. GuruBanana!).
Compreso, dunque, che il legame telepatico sussiste solo nei confronti di Mondini, Andrea Fusari torna dal batterista e gli propone alcuni esperimenti di jam musicale che daranno vita al primo disco dei Nana Bang! Sorta di versione ridotta (fin dalla ragione sociale) dei GuruBanana, che vede il timone affidato alle sole mani del duo Fusari/Mondini. Ai due musicisti, privati della direzione di Ferrario, viene a quel punto naturale riportare tutto al nocciolo. Nelle interviste adducono i motivi più disparati (“organizzare tour con tutta la band era diventato davvero difficile per gli impegni di tutti” oppure “ volevamo arrivare all’essenza delle canzoni e della musica, capire dove si trova il limite prima del quale non c’è nulla e dopo il quale c’è invece qualcosa. Fino a che punto una canzone resta se stessa?”), ma la verità è che i due insieme si divertono un sacco. Immaginate voi di riprovare la stessa sensazione che vi coglieva da bambini quando sapevate che a scuola avreste trovato il vostro nuovo migliore amico pronto a giocare con voi…
Con lo stesso autistico senso della meraviglia Andrea e Beppe cominciano dunque a incontrarsi in sala e suonare rigorosamente in silenzio. D’altronde, la prima regola dei telepati è: “Noi, non abbiamo bisogno di parole!” (per la cronaca, la seconda é: “Non si trasmette con la bocca piena: è comunque maleducazione!“, mentre la terza viene trasmessa esclusivamente in maniera telepatica e dunque a noi non è dato conoscerla).
Il primo disco dei Nana Bang! viene registrato nel 2013 presso il Bunker Studio di Andrea Rovacchi, tastierista dei Julie’s Haircut, durante delle session che durano giusto il tempo di suonare le otto canzoni dell’album. Un disco che al di là dei singoli episodi (si fanno notare la martellante filastrocca di While I’m Here, quella appiccicosa di Lean, la nostalgia gassosa di Refried Beans e il fracasso post-rockabilly di Stroll, oltre al tributo pagato a Daniel Johnston sotto forma di cover di True Love Will Find You In The End) colpisce per la freschezza della proposta e la mancanza di vergogna nel mostrare nude le proprie canzoni, vestite giusto della voce riverberata di Andrea, della sua chitarra maltrattata alla bell’e meglio e del kit rullante, timpano e cassa (e fascette di alluminio a simulare piatti) su cui Beppe inventa ogni volta un pattern diverso (il passo di carica country di Possibly Right o gli stacchi di arrangiamento in Lean). L’esiguo programma (diciotto minuti) viene offerto allo spettatore con la stessa grazia infantile con cui ci si rotolerebbe nel prato in una giornata in cui il sole è andato via, ma – avendo marinato la scuola – tutto appare comunque bello.
Il duo replica nell’ottobre 2014 con l’ancor più convincente “In A Nutshell”. Questa volta i minuti sono più di trenta (quasi cinquanta se vi aggiungiamo l’EP frutto delle stesse session di registrazioni e pubblicato lo stesso anno con il titolo “Space is a cake”) e si aprono con il passo di carica di Irony is a dead scene, che inizia con nient’altro che il pattern percussivo di Beppe Mondini e la voce di Andrea Fusari che intona un rockabilly suonato come se i Violent Femmes non avessero mai smesso di girare come buskers. L’intesa tra Fusari e Mondini si è fatta ancora più sinergica: i due compongono assieme, utilizzando da un lato voce e chitarre acustiche (Andrea Fusari), dall’altro rullante, cassa e synth (Beppe Mondini). Il tutto quasi sempre in diretta (partendo dai canovacci di Fusari) e senza effettuare sovraincisioni. Ne viene fuori un minimalismo reverberato capace di pacificare tramite i suoi blues slowcore (Sometimes), di trascinare altrove con schizofreniche trovate weird (Yesman, How To Become Invisible dall’EP), tenerti sospeso nel vuoto (la robynhitchcockiana A Date In 65 presente anch’essa nell’EP) o semplicemente di farti cantare a piena voce le sue melodie (Earthop). Il disco si conclude con un’altra cover, ovvero When the night fall dei Medicine Head (che tutti conosciamo per aver fatto uscire già nel 1972 l’album “Dark Side Of The Moon”…).
Una manciata di canzoni che i due Nana non chiedono altro di poter suonare in giro, cosa che con la formazione agile che si ritrovano gli riesce piuttosto bene, collezionando facilmente date su date in spettacoli che partono dalla canzoni registrate e, passando per l’improvvisazione più libera, giungono quasi all’avanspettacolo più surreale.
Scorrendo i dischi di Fusari sembra sempre più di trovarsi di fronte a una serie di albi a fumetto in cui le canzoni sono le nuvolette del pensiero che fuoriescono dalla sua testa, disegnate su una pagina ancora fresca di inchiostro. La cosa che rende divertente completare la collezione degli albi è che ad ogni numero Andrea tende a circondarsi di gente diversa per ripassare a china le proprie matite.
Non ultimi arrivano i fratelli Jizzer e Buzzer responsabili assieme al Fusari, divenuto per l’occasione Fuzzer, del progetto Basement3.
Sulle vere identità di Jizzer e Buzzer occorre forse spendere alcune parole, essendosi il web scatenato nelle congetture più strambe da quando si è scoperto che dietro i misteriosi pseudonimi non si nascondevano, come si supponeva, i fratelli Giulio e Alberto Manfredini dei Narcovand’agio. Chiaramente non avremmo avuto l’ardire di scrivere un articolo sull’argomento se prima non avessimo avuto la soluzione del mistero o quantomeno non avessimo compiuto ricerche approfondite.
Una sera al pub, Andrea Fusari cerca di spiegare a un amico la differenza tra il progetto GuruBanana o quello dei Nana Bang!. Probabilmente l’eccessiva ricorrenza del fonema “nana” in entrambi i nomi delle band (accompagnato da abbondanti dosi di botticino) gli genera una specie di ictus mentale che (al pari del compagno di bevuta) gli impedisce non solo di discernere e illustrare le differenze tra i due gruppi, ma anche di ricondurre alla medesima persona la figura del cantante delle due formazioni: in buona sostanza, Andrea Fusari si dissocia da se stesso, si sdoppia e, come reazione inconscia al fine di riequilibrare il proprio mondo sdoppiato, comincia a vedere tutto doppio. Ed è così che, accanto alle sue due chitarre, alle due donne che ogni sera reclamano le sue attenzioni sessuali (cosa mai successa prima nella sua vita!) e ai due esemplari di Fiat Doblò parcheggiati davanti casa, Andrea viene a contatto con due fratelli impegnati a suonare contemporaneamente basso e chitarra elettrica.
Li sente suonare per la prima volta durante una serata dedicata esclusivamente a esibizioni di One Man Show e, colpito dalla performance dei due (?), li ferma dopo il concerto e propone loro una collaborazione, lasciandogli i recapiti dei suoi due cellulari. Quello che ne viene fuori è “Permafrost Walkers”, pubblicato nel 2019 con il nome Basement3 e che, nonostante le instabili condizioni mentali di Fusari (o forse grazie ad esse), si presenta, oltre che come lavoro notevole, come il più psichedelico tra quelli dati alle stampe dal musicante di Manerbio.
Il disco viene registrato al Monolith Studio di Brescia sotto la supervisione di Giovanni Ferrario (che lo dichiara ineditabile e dunque lascia fare la band) e lungo tutto il suo programma propone un raga folk psichedelico in cui la scrittura di Fusari tende a liberarsi dal formato della canzone per assecondare la formazione nelle sue derive nello spazio. O meglio nel ghiaccio siderale, visto l’immaginario presente in copertina, che mostra immagini relative alla spedizione del 1911 con cui l’esploratore norvegese Roald Amundsen raggiunse per la prima volta il Polo Sud.
In alcuni brani fa ancora capolino il songwriting lunare di Fusari, come ad esempio in The Ping Pong Paddle costruita ritmicamente su degli stralunati gorgheggi vocali (del brano Fusari gira anche un video che rende bene lo stato di salute mentale del periodo con immagini doppie e sfocate) o nella sbarazzina e saltellante New Shoes (che si avvale, unico caso in un disco totalmente drumless, anche delle batterie di Michele Marelli) o in Poose On The Loose la cui semplice melodia mostra come Fusari abbia capito ormai da tempo che le migliori canzoni sono quelle che si scrivono con pochi accordi. Negli altri episodi, Fusari smette di essere il songwriter strampalato che conosciamo e si abbandona al flusso sonoro degli altri due (?) Basement che forniscono alla causa bassi pulsanti, arpeggi liquidi dal sapore inequivocabilmente sixties, chitarre sature e bluesy che si muovono lisergiche e instancabili lungo tutta la tastiera, nonché synth che passano dal fischio sibilante al rumore di massa (e che vengono suonati per lo più dallo stesso Fusari). Sono esempi di questa rapita deriva la weirdness quasi freeform di Three Polaroids o la voce che corteggia il silenzio, presente in Captain Sail Home e nella conclusiva Tee Day Before.
“Fuori faceva freddo, ci siamo chiusi in cantina. Quando siamo usciti, fuori non c’era nulla, o probabilmente avevamo preso un accesso diverso”
Quello che trovano fuori è una pianura padana fredda che parla (male) nei dispositivi elettronici e pensa di conseguenza, dove ci si guarda in cagnesco nella vita reale e che il contingente Basement3 cerca di trasfigurare altrove, in serate che battono incessantemente tutte le Lowlands limitrofe al loro accampamento. Si tratta di spettacoli che Fusari vive con un trasporto non dissimile da quello che provava quando andava in giro a suonare il blues, ma che grazie alla componente psichedelica (“Siamo i Grateful Dead della Bassa!” è stato sentito esclamare, estatico e leggermente sopra le righe), può permettersi una libertà di certo superiore, consentendo al gruppo di cominciare il concerto semplicemente con uno sguardo e una domanda: “Con che accordo iniziamo oggi?”
Grazie alla lontananza dalla sillaba “nana” e a un fitto calendario di concerti (Fusari è uno che più suona in giro, meglio sta…), Andrea ritrova una certa stabilità (anche se ancora oggi continua a sostenere di aver suonato assieme a due gemelli…).
Riacquistata sicurezza sul proprio equilibrio, decide di cominciare a scrivere brani per il terzo disco dei GuruBanana.
(Piccola legenda per districarsi tra le varie ragioni sociali:
GuruBanana: Andrea Fusari con tutta la band e le canzoni arrangiate, preferibilmente da Giovanni Ferrario, ma non è detto;
Nana Bang!: Andrea Fusari solo con una batteria, rigorosamente suonata da Beppe Mondini);
Basement3: Andrea Fusari senza la batteria, con uno/due musicisti al seguito: dipende dalla sua lucidità mentale).
Andrea registra il demo dei brani, che però non vengono affidati alle mani di Giovanni Ferrario (che in quel periodo risulta piuttosto preso da altre cose), bensì di Andrea Cogno, ovvero l’altro musicista abilitato a suonare le chitarre nel progetto. Cogno arrangia i brani e, quando si tratta di registrare in studio, la formazione è composta da Cogno, Fusari, Mondini, Marco Boletti al basso e ovviamente Giovanni Ferrario. Il disco, intitolato “Ear Refill”, rimane però fermo: tutti sono impegnati in altri progetti e, se non si può portare il lavoro dal vivo, allora non ha senso pubblicarlo.
Passa un anno e Fusari non sta certo con le mani in mano: diverse visite al pozzo di cui vi ho parlato (in maniera confidenziale) ed è nuovamente pieno di canzoni che gli premono sull’addome e gli impediscono persino di concentrarsi sul lavoro, rimbalzandogli continuamente tra le pareti del cranio. Persino i colleghi si sono accorti del suo stato mentale: non fanno altro che guardarlo in cerca di nuove rivelazioni (GuruBanana!), mentre invece Andrea è semplicemente perso nei suoi pensieri a rigirarsi in testa le sue melodie. Insomma – come al solito – per liberarsene, deve registrarle.
Decide di affidare le nuove canzoni a Beppe Mondini e dunque ai Nana Bang! (vedi legenda).
Registrano al Tup Studio di Brescia, ma questa volta qualcosa non quadra: entrambi i musicisti sono insoddisfatti del risultato. In particolare, Fusari sente che gli arrangiamenti non sono quelli giusti, che anche le canzoni dei Nana Bang! a questo giro hanno bisogno di un vestito più ricco. Per tutta risposta, Andrea prende il disco già mixato e lo gira a Giovanni Ferrario che lo sottopone alla sua cura sia tecnica (riversa il disco prima su nastro, poi di nuovo in digitale, poi taglia, cuce ed edita) che musicale (ci suona sopra chitarre, tastiere e bassi) e consegna una nuova versione di “Life of an Ant”, titolo con cui viene battezzato il lavoro.
A questo punto Andrea si ritrova con due dischi pronti in cui la già labile distinzione tra GuruBanana e Nana Bang! si è di fatto assottigliata ancora di più, ma per rendere giustizia al ruolo di Beppe Mondini nella scrittura dei brani di “Life of an Ant” decide di mantenere separate le due ragioni sociali e di pubblicare un doppio che contiene nel primo disco “Ear Refill” dei GuruBanana (ovvero il disco ultimato circa un anno prima, ma messo in stand by) e nel secondo disco “Life of an Ant” (ovvero il disco dei Nana Bang! passato attraverso il frullatore ferrariano).
E, come suggerisce il titolo del primo tomo, si tratta davvero di un rifornimento generosamente concesso alle proprie orecchie. Se il caro vecchio rock sta attraversando una fase estremamente conservatrice (no, non dirò retromaniaca…), come è giusto di tanto in tanto faccia per prendere una nuova rincorsa e non vi sono suoni interessanti e nuovi all’orizzonte, allora forse è meglio affidarsi a lavori come questo che, nella loro freschezza compositiva, nella naivete esibita e nella sapienza nel maneggiare una materia che copre dal lo-fi americano di stampo pavementiano alle declinazioni genealogiche britanniche che dai Blur risalgono fino a Brian Eno, riescono a fare il punto della situazione di alcune delle nostre passioni preferite, aggiungendo un punto di vista personale e consapevole.
“Ear Refill” è dunque il miglior esito (finora) del progetto GuruBanana, nonché uno dei dischi più belli dell’anno in Italia e non. Sorta di greatest hits composto solo di inediti, che si concentra, lungo tutto il suo programma, sul tema delle dipendenze dalle droghe, dal sesso, dalla musica, dalle abitudini. Basterebbe chiamare sul banco dei testimoni l’uno-due costituito dalla ouverture colossale di Changing Habits, inno al cambiamento capace di strappare sorrisi di gioia e far battere contemporaneamente il piedino e dalla perfezione indie-rock di Velcro Man, le cui chitarre sbattono soniche le une contro le altre, con i synth a disturbare e il ritornello a gareggiare con la strofa per cosa è più memorabile.
E invece la scaletta prosegue senza alcun calo tra il tira e molla melodico di Bottoms Up, le chitarre che entrano a strattoni di Naked in the Fridge, il coretto surf nel finale di Flying Potatoes, la melodia mesta del finale di Dust It Off (“Lesson, Lesson that I Learned Today”), le chitarre remmiane e il piano percussivo di Broom, le delizie pop di Cheesecake, fino a giungere al finale di Turn Above and Repeat (ispirato ai giorni spensierati in cui si raccoglievano le siringhe nel parco, le si piazzava nel bagno della scuola al fine di creare panico e fomentare, sghignazzanti, la psicosi contro la DROGA!), ma senza dimenticare una delle portate principali: il singolo Refill, sorta di Space Oddity della Bassa con chitarre liquide alla The Edge e un cantato impersonale tra Byrne e Bowie.
Di questo brano viene girato un video doppio in split con il brano dei Nana Bang! presente nel secondo disco Life As A Grown Up, in cui la formazione dei GuruBanana compare al gran completo al netto di un Giovanni Ferrario che non vi appare perché impegnato a dirigere le riprese (insomma, teneva la telecamera: quando si dice il vero Do It Yourself…).
“Ear refill” è un lavoro che vede Fusari come al solito alle prese con le melodie pop provenienti da GuruBananaland, avvolte per l’occasione nelle sonorità sgranate, ma dai contorni sempre percepibili della cura ferrariana. La voce mantiene la sua imperturbabile alterità rispetto alle nostre cose, mentre sotto di essa succedono cose incredibili, ma che non disturbano mai la canzone.
Un movimento continuo di chitarre, ritmi, organi, synth e bassi che ritroviamo anche nel secondo disco a firma Nana Bang! “Life Of An Ant” che parte con una Freee a metà tra il sogno sospeso dei Mercury Rev e le oasi pop di Brian Eno e infila episodi tipici del gruppo come Hurry Home, Easy Street, Boxe, passando per i brani di maggior pregio: Love Is Not For Everyone che banalmente è una delle più belle e solenni canzoni mai scritte da Fusari, Before The Dark tra i più trascinanti del disco grazie alle chitarre soniche del Grande Demiurgo, ma anche a un Fusari che si produce in una bella interpretazione rock al limite dell’urlo, Life of An Ant con un riff melodico su cui poggia il caos organizzato di Ferrario, per finire con il rock n’ roll trascinante della conclusiva Life As A Grown Up, pieno delle rullate di Mondini e dell’attitudine slacker che secoli fa inventarono i Modern Lovers. Il brano viene scelto come singolo e dimostra come ormai lo split Nana/Guru si sia risolto in realtà in una fusione. Il video che ne viene tratto (sempre girato da Ferrario che dunque non appare…) mostra sullo sfondo dei musicisti, impegnati a suonare, le immagini dei più famosi locali punk della storia e rappresenta per il regista l’avverarsi di un sogno: finalmente il video punk che ha sempre sognato di girare!
La pubblicazione del doppio disco galvanizza tutto il gruppo che si preparerebbe pure a portarlo in giro, se non piombasse come un fulmine a ciel sereno l’epidemia di Covid 19 (peraltro con particolare virulenza proprio nella provincia in cui risiedono i musicisti del gruppo).
Fusari però è uno che sa attendere. Suona in giro da un vita e non è certo un tipo che sta con le mani in mano. A volte gli basta piazzarsi davanti al registratore senza alcuna idea preconcetta, certo che l’effetto-GuruBanana gli porterà qualcosa. E poi come sappiamo c’è sempre il pozzo da cui attingere…
Vedremo.
Alla domanda se la musica di Andrea Fusari vada ricondotta più alla scena dei lunatici inglesi o piuttosto a quella dei weird americani, la risposta corretta probabilmente è che il ragazzo non appartiene a nessuno delle due. E aggiungerei inoltre che Mr. GuruBanana non ha nulla di tipicamente italiano. Se proprio dobbiamo cercare un’appartenenza a questo strano musicista, è forse il caso di guardare altrove…
Probabilmente Andrea Fusari appartiene unicamente alla Provincia, se intendiamo quest’ultima come un luogo indistinto, gran produttore di noia soggettiva e che, sfuggendo a ogni legge geografica, tocca gran parte del mondo e si ripete nelle sue caratteristiche essenziali, fungendo ovunque da porta d’ingresso per accedere semplicemente a un immaginario altro. Che tu sia un biondino di Canterbury o un impiegato statale di Manerbio poco importa: la tua vera vita si svolge altrove.
“Noi arriviamo dalla Bassa dove tutto è piatto. Qui il senso di vuoto è lo stimolo a fare qualcosa, la noia che ti aggancia e ti spinge a cercare dentro di te.”
Sarà questo il pozzo da cui attingere?
Mistero risolto. Missione compiuta. Alla prossima.
GuruBanana!
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