E’ uscito il nuovo disco dei Wand. Sì, ma quali Wand? Eh sì, perchè si fa presto presto a dire Wand ma la band di Cory Hanson è una creatura multiforme la cui storia non è propriamente lineare ed anzi si può dire che ci sia una linea che ne divide le vicende al punto da far pensare a due gruppi differenti con il solo nome ad accomunarle.
La prima vita del gruppo si caratterizza per un suono garage-psichedelico che si muove in quell’area che fa riferimento a gente come Ty Segall (con cui peraltro alcuni i membri della band avranno anche occasione di collaborare) e si sviluppa nell’arco di tre dischi: il garagistico e sixties oriented “Ganglion Reef”, il monolitico e metallico “Golem” e quel “1000 Days” che si proponeva di sintetizzare e tirare le fila dei discorsi precedenti.
Poi arriva il 2016 che si rivela il famoso spartiacque cui accennavamo. A favorire la svolta, due eventi significativi. Innanzitutto viene pubblicato l’esordio solista del carismatico leader della formazione Cory Hanson, quel “The Unborn Capitalist From Limbo” che, pur facendo anch’esso riferimento al suono degli anni ‘60 e alla psichedelia, si discosta radicalmente dal sound della band madre, muovendosi piuttosto verso un cantautorato dove pop e folk vengono declinati in canzoni mature e incisive, avvolte in un’atmosfera malinconica e in una dolce foschia psichedelica. Detto così può sembrare un falso d’epoca, ma forse andrebbe considerato più un “what if”: cosa sarebbe successo se John Lennon avesse fatto il cantautore psichedelico con le orchestrazioni a supporto… Il disco oltre a essere un un gioiellino da non farsi sfuggire rappresenta il momento della maturità nel quale l’artista californiano prende consapevolezza dei propri mezzi.

Il secondo episodio decisivo è il cambio di formazione. La seconda chitarra del gruppo viene sostituita con Robert Cosy e la band si rafforza anche con l’ingresso della tastierista e cantante Sonia Arreguin,. Lo scheletro del gruppo (batteria, basso, chitarra solista e voce) rimane invariato ma il cambiamento risulta marcato. Tra i nuovi membri sembra infatti scoccare una scintilla che dà vita a un band unita e compatta capace di emanciparsi dal suono in cui si era confinata e di assecondare le nuove ambizioni autoriali di Cory Hanson, rivitalizzate dall’esperienza solista.

Quando la rinnovata band entra in sala d’incisione, inaugura un nuovo modus operandi. Se prima Hanson si presentava con canzoni già scritte e formate, ora le composizioni prendono forma da jam di studio. Il frutto di questo esperimento è “Plum”, un disco che mostra una band decisamente diversa che spazia dalla vecchie esperienze psichedeliche e garage a un suono decisamente più vicino al rock classico e che non disdegna melodie pop. L’elemento che risalta maggiormente è il lavoro della doppia chitarra che passa con naturalezza da richiami a dialoghi allmaniani e southern rock a sovrapposizioni più spigolose e “televisive”. Col senno di poi, è possibile vedere “Plum” come il classico lavoro di transizione, acerbo inizio della seconda fase o meglio ancora: prova generale per quel che verrà.

Dopo l’interlocutorio EP “Perfume” è infatti la volta di “Laughing Matter” che, lo diciamo subito, rappresenta per la band un notevole balzo in avanti, dove le intuizioni intraviste precedentemente vengono portate a compimento.
Anche questa volta il procedimento di composizione collettiva è quello della jam, ma la band lo padroneggia al meglio e può inoltre contare su una produzione (a cura della band stessa e di Enrique Tena Padilla) che abbandona i suoni grezzi e slabbrati del predecessore in favore di un sound scintillante in cui la cura non sembra affatto depotenziare forza e vitalità derivante dalla sua natura di live in studio. Il mixaggio e la stratificazione degli elementi sonori è da manuale e restituisce in pieno la dinamicità e la complessità che i nuovi Wand sono in grado di esprimere.

Il disco inizia con singolo “Scarecrow”, esemplare nel mostrare le caratteristiche del lavoro: canzoni che non ruotano semplicemente attorno a un tema o una linea melodica ma sono costruite con pazienza e attenzione meticolosa attraverso l’interazione di tutte le componenti sonore e grazie al bilanciamento tra tutti gli strumenti che restituisce l’idea di una forte unità d’intenti nel quale il singolo è al servizio del bene (suono) comune. Insomma un vero specchio di quella scrittura collettiva con cui il lavoro è stato realizzato.

Wand "Scarecrow" (Official Music Video)

Andiamo però ad analizzare il disco. In primo luogo colpisce il cantato di Cory Hanson che dimostra una versatilità sorprendente. Se nel suo disco solista il riferimento principale sembrava Lennon, in “Laughing Matter” non si può fare a meno di notare una vicinanza con certi toni “lamentosi” di Thom Yorke. Questa somiglianza però non va a detrimento della forza dell’interpretazione, ma risulta adeguata forse anche in virtù di una consonanza con l’approccio sonoro stratificato e al suono obliquo di certi Radiohead.
Uno dei brani dove più si può rintracciare la vicinanza con il gruppo di Oxford è “Xoxo” dove a un battito sincopato della batteria e a un synth krauto si aggiunge prima la voce alla Yorke di Hanson poi delle chitarre e un vibrafono fino a un crescendo che attraverso il rafforzamento di un coro porta all’esplosione delle twin guitar. Anche “Twin Air” soprattutto nella prima parte dove l’intreccio di chitarre in forte odore di post rock e un piano in sottofondo sulla quale si staglia la voce di Hanson ha un sapore radioheadiano anche se pure in questo caso l’esplosione chitarristica della seconda parte fa capire che il gruppo sa trascendere l’influenza per creare musica propria e personale.

Un altro riferimento stilistico, anche se decisamente meno evidente, tanto che potrebbe semplicemente essere una suggestione del sottoscritto, è quello dei Wilco. Un’associazione che si manifesta però non nella musica o nello stile di scrittura, ma proprio nel modo in cui le canzoni sono costruite: nel modo in cui la sezione ritmica sostiene i brani arricchita da strati dalle tastiere e da suoni di ogni tipo, dal modo in cui le chitarre sono sempre al servizio del brano e sono calibrate anche quando si esibiscono in virtuosismi mai fini a sè stessi o cavano fuori dalla pedaliera effetti alieni. Che è un po’ quello che fa sì che il gruppo di Chicago, al di là della qualità della canzone, riesca a produrre qualcosa che non sia mai al di sotto della sufficienza. Provate a sentire una canzone come “Walkie Talkie” e ditemi se dal punto di vista appena espresso la comunanza non sembra lampante…
E in più la qualità delle canzoni di “Laughing Matter” è difficile da mettere in discussione. L’ampia durata del disco costruito come un lungo flusso, permette loro di spaziare da un genere all’altro con la stessa libertà delle jam session da cui origina il disco. La natura improvvisativa poi viene rappresentata anche da alcuni frammenti strumentali che risultano funzionali al flusso, fungendo da anelli di congiunzione tra i brani senza allungare il brodo. Troviamo ballate come “High Planes Drifter” in cui fa capolino l’Hanson del disco solista o la delicata “Jennifer’s Gone” cantata da Evan Burrows o l’atmosferica “Wonder 2” cantata da Sonia Arreguin. “Wonder” è invece una poderosa power ballad dove le chitarre tirano fuori la grinta fuzz di una volta scatenandosi in cavalcate degne di J Mascis e “Rio Grande” è più vicina al rock classico con un organo e chitarre scintillanti che si inseguono magnificamente.

Ho lasciato per ultimi i due brani più lunghi dove i musicisti, dopo aver manipolato, decostruito e ricostruito il prodotto delle jam session, si lasciano finalmente andare. “Airplane” è un trip sospeso dove una lieve ritmica di batteria e basso, insieme alle chitarre e le tastiere che ci regalano ricami psichedelici, creano l’atmosfera perfetta dove l’eterea voce di Arreguin, a metà tra Lisa Germano e Georgia Hubley, ci fa galleggiare a mezz’aria e ci conduce fino a un lisergico assolo di chitarra, poderoso e fratturato. Un brano magnifico con una forte influenza degli Yo La Tengo della citata Hubley e di Ira Kaplan ma che non di meno ci invita all’ascolto ripetuto in un loop psichedelico senza fine. “Lucky’s Sight” è invece un travolgente sabba krauto con batteria motorik, organo ossessivo e chitarra free form che riportano alla mente un altro gruppo cardine della moderna psichedelia americana, gli Oneida.
Insomma parliamo di una band capace di ricondurre tendenze e influenze disparate verso un suono personale, forte di una scrittura brillante che permette all’ascoltatore di giungere alla fine dell’album senza stanchezze. Ed anzi: volete scommettere che, una volta ascoltato il disco, vorrete tornare sull’ottovolante Wand più e più volte?