Ora che il frastuono delle classifiche di fine anno è passato, vogliamo approfittare della quiete prima della nuova tempesta per parlare di uno stile musicale che proprio di quiete necessita per essere apprezzato. Parliamo del cosiddetto “fingerstyle” o “fingerpicking”, nome che si rifà alla tecnica utilizzata per suonare lo strumento principe di tale genere ovvero la chitarra. Come si evince dallo stesso nome, nel fingerstyle la chitarra (per lo più acustica) viene suonata con l’ausilio delle sole dita (niente plettro, dunque) e spesso in solitaria, trattandosi di una tecnica per così dire autarchica che permette di suonare accompagnamento e melodia simultaneamente.

A beneficio di  chi magari non è molto avvezzo alla materia, può risultare opportuno  contestualizzare tutto, e tornare indietro agli inizi degli anni ‘60. Proprio in quel periodo si iniziano a esplorare le potenzialità della chitarra fingerstyle e se ne amplia il linguaggio con una visione che, pur non perdendo il legame con la tradizione popolare, comincia a guardare al mondo circostante, rivolgendo particolare attenzione verso oriente e verso le sperimentazioni contemporanee. Non parliamo di un vero e proprio movimento, né di una musica omogenea, ma piuttosto di un approccio comune allo strumento che si sviluppò, da una parte all’altra dell’Atlantico, con peculiarità e approcci culturali diversi, ruotando attorno a quelli che si possono considerare i due caposcuola del genere: John Fahey in America e Davey Graham in Inghilterra.

Negli Stati Uniti si diffonde lo stile che lo stesso Fahey definì “American Primitivism” e che univa musica popolare come blues, folk e ragtime con un suono dilatato, influenzato del raga indiano e dall’avanguardia. Oltre alla produzione in proprio, Fahey diede un contributo fondamentale alla diffusione del fingerstyle attraverso la sua etichetta: la Takoma. Grazie a Fahey vennero, ad esempio, consegnate alla storia le incisioni di Robbie Basho, profondamente influenzato dalle sonorità orientali, e del funambolico Leo Kottke. Non si possono poi dimenticare i contributi al genere di Peter Walker con il suo Raga-Folk e di Sandy Bull con la sua pionieristica fusione tra folk, sonorità etniche e improvvisazione Jazz.

In Gran Bretagna il fingerstyle ebbe uno sviluppo meno autonomo e più legato al folk. Al maestro Davey Graham fecero seguito i discepoli Bert Jansch che sviluppò un discorso maggiormente legato al cantautorato e John Renbourn, più indirizzato alla ricerca delle radici medievali di questa musica. Ovviamente non si può tralasciare il progetto comune dei due musicisti: quei Pentangle con cui i due misero a punto un’inedita fusione tra un  folk britannico tradizionale, ma dalla sensibilità moderna, e il Jazz.

Pur non avendo mai raggiunto un significativo riscontro popolare, il fingerstyle ha finito per rappresentare uno degli elementi più significativi del cosiddetto folk revival degli anni sessanta, capace di influenzare chitarristi di generazioni differenti come Jimmy Page o Johnny Marr.

Il fingerstyle guitar ebbe un periodo di riflusso dalla seconda metà degli anni 70, quando, come avvenne per molti fenomeni culturali che facevano riferimento agli anni 60 e al movimento hippie, venne assorbito dalla new age che, al netto di contributi anche significativi, finì per diluirne lo spirito originario, puntando su un tecnicismo fine a se stesso e su un sound da salotto utile per lo più per fare da tappezzeria a sedute di cristalloterapia…

Bisognerà attendere la fine degli anni 90 e precisamente il 1997 per vedere finalmente un nuovo interesse attorno alla chitarra fingerstyle. Proprio allora infatti Jim O’Rourke, eclettico musicista e produttore di Chicago e già collaboratore con Fahey nell’ultima e più sperimentale parte della sua carriera, diede alle stampe “Bad Timing”. O’Rourke, dimostrando tutto il suo talento come compositore, chitarrista e arrangiatore mostrava una visione dell’American Primitive, aggiornata e rinnovata attraverso le sonorità post-rock e la sensibilità avanguardistica dell’epoca. “Bad Timing” non è solo uno dei capolavori del fingerstyle moderno, ma anche quella scintilla che serviva per riaccendere l’interesse attorno a uno stile che sembrava destinato all’oblio.

Dopo quel disco, nuovi, giovani e capaci chitarristi non tardarono ad arrivare. Tra tutti in particolare vogliamo ricordare Jack Rose il cui talento e la cui musica, che seguiva e ridava vita allo stile Faheyano, fece breccia sia nel cuore di vecchi e nuovi appassionati che in quello della critica. La sua purtroppo breve e fulminante carriera solista durò circa un decennio circa riuscendo però a lasciare un segno profondo e indelebile nella storia del genere.

Da allora la chitarra fingerstyle non hai mai perso l’abbrivio generando una corrente creativa sotterranea e tanta buona musica che senza clamore mediatico arriva fino ad oggi.

Possiamo quindi finalmente tornare a parlare di ciò che sta accadendo ora. E di cose da dire ce ne sono parecchie perché nel 2018 sono stati pubblicati numerosi album di valore capaci di mostrare le diverse sfaccettature di uno stile che potrebbe apparire limitato proprio per sua natura.

folder_new31Se infatti c’è qualcuno che pensa al fingerstyle guitar come a un genere morto e sepolto o che si limita a reiterare sempre le proprie forme oramai codificate, credo non ci sia miglior rimedio che fargli ascoltare la musica di Marisa Anderson e in particolare il suo ultimo lavoro, “Cloud Corner”. Si tratta infatti un artista con le radici nel passato, la testa nel futuro e gli occhi bene aperti per guardare il mondo. Se la sua musica non richiama esplicitamente, come nel caso di altri autori, quella di John Fahey ne incarna però profondamente lo spirito attraverso la ricerca del rapporto tra musica e silenzio, nell’utilizzo di pause capaci di donare  una sospensione magica che evoca spazi sconfinati. La Anderson suona prevalentemente la chitarra elettrica e il suo stile richiama perciò anche l’influenza di altri due grandi chitarristi americani non riconducibili alla tradizione fingerstyle, ma che sono certamente maestri nel dosare le note e nella rievocazione di atmosfere desertiche ovvero Ry Cooder e Bill Frisell. La citazione di questi “ingombranti” nomi non deve però far pensare a un’artista derivativa perché la sua musica e in particolare Cloud Corner è caratterizzata da una visione personale e da un talento compositivo capace di muoversi con abilità in un sottile equilibrio tra accessibilità e sperimentazioni, radici e modernità.

folderDaniel Bachman da giovane promessa è diventato ormai una delle figure più importanti del fingerstyle americano. Il monumentale “The Morning Star” arriva dopo il lavoro omonimo del 2016 il cui titolo pareva indicare la volontà di un nuovo inizio. Il disco ha una genesi particolare: nasce infatti da un lungo periodo di isolamento dell’autore che decide di sottrarsi temporaneamente al ritmo frenetico dei tour e alla nascente america trumpiana nella quale non si riconosce, per concentrarsi sulla musica. La chitarra non è più l’unica protagonista dell’album, ma è significativo proprio il trattamento che l’autore le riserva, immergendola e a volte quasi annegandola in field recordings che riportano suoni ora naturali ora antropici, rumori provenienti da trasmissioni radio, droni di organo e violino. In questo lavoro l’assenza e la negazione della forza vitale incarnata dalla chitarra risultano  fondamentali tanto quanto la sua presenza. Il disco inizia in maniera plumbea e pessimista con il lunghissimo incubo raga di Invocation dove la chitarra, quand’anche appare, stenta a far sentire la sua voce. Il resto del disco disegna un percorso che passa dal tramonto di Song for the Setting Sun III e IV e ci porta lentamente, in maniera tanto sofferta quanto potente, verso i 13 minuti finali di New Moon nei quali una chitarra finalmente “libera” sembra indicarci un nuovo orizzonte dove è possibile finalmente scorgere la stella del mattino che intitola l’album…

folderGlenn Jones, è uno dei veterani della scena. Prima protagonista di un post rock sperimentale e psichedelico con i Cul De Sac,poi alfiere del fingerstyle, rappresenta un po’ il filo conduttore tra la vecchia e la nuova ondata di artisti. Jones infatti incise un disco con i Cul De Sac proprio con John Fahey per poi farsi portatore  nella sua carriera solista della tradizione della cosiddetta Takoma School. Jones è una certezza e, se forse manca il capolavoro, ogni suo disco è però sempre di alto livello. Anche con il suo ultimo “The Giant Who Ate Himself and Other New Works for 6 & 12 String Guitar” non potete sbagliarvi se volete approcciare questo autore e lo stile fingerpicking più classico.

folderL’americano Buck Curran, ormai stabilmente residente in Italia, ha calcato le scene per molti anni con il folk psichedelico dei Arborea, progetto momentaneamente messo in pausa. Con il disco “Morning Haikus, afternoon Raga” porta a termine un processo iniziato con il precedente “Immortal Light”, entrambi pubblicati per la Obsolete Recordings.  che lo ha portato a diventare un solista fingerstyle a tutti gli effetti. Dall’esperienza passata, Curran si porta dietro il suono ricco di riverbero e atmosfere sottilmente psichedeliche che adornano il suo chitarrismo cristallino e le sue melodie sospese. I brani dell’album si susseguono in un oasi lirica e meditativa che si rifà proprio al titolo dell’album. La sensazione è quella di un piccolo incanto che offre 65 minuti di sospensione dalla vita quotidiana e dalla materialità. Provate ad ascoltare Rivers Unto Sea per credere….

folderSe fino ad ora abbiamo parlato di nomi già noti, alla gallese Gwenifer Raymond spetta sicuramente il titolo di rivelazione dell’anno. Il suo disco “You Were Never Much Of A Danger” viene pubblicata dalla benemerita Tompkins Square.  Si tratta di una chitarrista (ma non solo, la troviamo anche al banjo) eclettica e completa, capace di passare dalle tipiche dilatazioni meditative dell’American Primitive a strepitose accelerazioni, spesso anche all’interno dello stesso brano come nel caso del notevole “Off To See The Hangman, Part II”. La sua naturalezza nel passare dalle radici blues con la slide a frenetici bluegrass con il banjo è stupefacente. L’unico limite del disco è forse una certa tendenza all’enciclopedismo, ma considerando che si tratta di un esordio possiamo tranquillamente soprassedere e scommettere sulla Raymond come uno dei nomi su cui puntare per il futuro del genere.

folderParadossalmente per trovare un artista che porti avanti la tradizione britannica della chitarra fingerpicking dobbiamo restare negli USA. Ascoltando “Third” di Nathan Salsburg infatti, sin dalle prime note di “Timoney’s”, emerge forte l’influenza dei giganti Jansch e Renbourn. Altrettanto forte però è la sensazione di non avere di fronte un anonimo discepolo, ma un artista capace di far rivivere la forza del patrimonio folk inglese e la sensibilità dei suoi ispiratori attraverso la propria chitarra. I brani che compongono l’album sono miniature perfettamente modellate che mettono in risalto melodie capaci di insinuarsi con delicatezza e dolcezza sotto la pelle dell’ascoltatore. L’approccio alla melodia porta alla luce anche un’altra importante influenza, ovvero quella dei chitarristi della prima New Age in particolare Alex Degrassi. Salsburg dimostra di avere un magistrale controllo della materia e di saperlo esprimere non solo attraverso la tecnica, ma anche tramite una scrittura che non si accontenta di affascinare in maniera superficiale, ma che riesce a perpetuare la bellezza senza tempo della tradizione.

th&jg3Una citazione veloce per due nomi emergenti provenienti dall’inghilterra: Toby Hay e Jim Ghedi, che nel 2018 hanno pubblicato un disco in comune “The Hansworth Groove Sessions” e uno solista a testa. Il disco in coppia è un lavoro che vede intrecciarsi e integrarsi la 6 corde di Ghedi e la scintillante 12 corde di Hay in un lavoro godibile e riuscito. Se Ghedi invece ci propone un folk pastorale ed emozionale riccamente arrangiato da archi nel suo album solista “A Hymn for Ancient Land”, Hay invece accompagnato da un gruppo con tanto di sezione ritmica, violino e sax amplia il suo folk, strizzando l’occhio all’America e al Jazz, nel lavoro a suo nome “The Longest Day”.

folderInfine, ma solo per motivi puramente geografici, troviamo il nostro Maurizio Abate. Abate è un musicista difficile da incasellare e un instancabile esploratore che esprime la propria creatività in diversi ambiti attraverso numerose collaborazioni e progetti caratterizzati da sonorità differenti. Solo quest’anno ad esempio ha pubblicato due dischi egualmente interessanti: il più sperimentale “The Maadi Sessions” e “Standing Waters”, disco di fingerstyle che prosegue il discorso del bellissimo “Loneliness, Desire And Revenge”. “Standing Waters”  si basa su una struttura molto semplice, che giustappone la  chitarra acustica di Abate con pochi ma semplici elementi come un’armonica dal suono spazioso, un piano discreto, un bordone di Hurdy Gurdy o dei delicati arrangiamenti di archi. Questi elementi vengono utilizzati in maniera sparsa ed equilibrata senza mai soverchiare la chitarra che rimane indiscussa protagonista e servono, più che ad arricchire, a sottolineare la limpida e ispirata scrittura di Abate. Particolarmente indovinata risulta poi la coda dell’ultima brano, “Standing Crumbling”, nella quale la chitarra si ritira lasciando la “parola” a un graduale e sempre più libero crescendo di archi e pianoforte che si prendono finalmente la scena. Con questo disco Abate si conferma, pur essendo ai “margini dell’impero”, come una delle figure più importanti e stimolanti dell’intero panorama fingerstyle.

Insomma per chi abbia voglia di addentrarsi in questo mondo o per chi si sia perso i dischi in questione il menù è davvero ricco e non facciamo in tempo a fotografare il 2018 che già si comincia con il 2019… Già perchè è già uscito il nuovo disco di un altro dei nuovi protagonisti della scena, il buon William Tyler. Ci auguriamo quindi che il nuovo anno sia per il fingerstyle gustoso come il passato e chissà quindi che il gennaio prossimo non ci si ritrovi di nuovo qua…. Perciò che si guardi indietro o avanti, buona chitarra a tutti!

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