I Flaming Lips in Italia sono sempre un evento. Noi siamo pronti a farci trascinare stasera nel più grande spettacolo animato che il circo musicale odierno è in grado di offrire.
Per entrare nel mood giusto riproponiamo una canzone e un articolo in cui si parla dell’ultimo ottimo album!

The Flaming Lips - Race for the Prize - live in Zürich, 31.1.2017


The Flaming Lips – Oczy Mlody

“Sono in un’altra città. Un città del futuro. Tutto sembra più pulito. Le macchine volano. Mi sto librando in mezzo a grattacieli rotondi, colorati di rosa”.
Scrivevo così a un amico che mi aveva prestato “Yoshimi battles the pink robots” e voleva sapere in diretta se l’ascolto mi stava piacendo.
Rievoco queste parole perché mi sembra rendano perfettamente il mio concetto di psichedelia.
Una forma di musica che ha conosciuto diverse incarnazioni, ma che ha sempre avuto alla base un elemento costante: il viaggio.
Non un viaggio terreno ovviamente (per quello ci pensa certa musica Americana), ma un viaggio in un altrove.
Qualunque esso sia: spazi mentali, futuri immaginifici, vuoto siderale. Ogni meta è buona, perché banalmente – come spesso capita quando si parla di viaggi – la cosa più importante non è la meta, ma il viaggio in sé.
E il viaggio che ci propone a questo giro la premiata agenzia turistica Flaming Lips che da circa trent’anni si preoccupa di dare alla sua clientela solo trip di qualità (mai un disco riconducibile alla “grande distribuzione” psichedelica, solo roba hand-made con trademark depositato, fatta su misura e direttamente dalla corteccia cerebrale del leader Wayne Coyne fin dentro i nostri padiglioni auricolari) prevede un programma ricco: alla partenza e all’arrivo è possibile degustare le canzoni vere e proprie, ovvero le melodie che costituiscono il porto sicuro su cui far attraccare il nostro orecchio e la nostra attenzione, mentre al centro troviamo il viaggio vero e proprio che ci sommerge e trascina via la mente: la musica diventa un’onda di cui non distinguiamo necessariamente ogni singola parte, quanto il mood generale. A volte il viaggio appare fuori fuoco, le coordinate possono sembrare perse e, se guardiamo il capitano del vascello con quella faccia da drop-out fuori tempo massimo, non possiamo di certo dirci rassicurati, ma la paura di perdersi non è forse parte del fascino del viaggio? Non ne costituisce uno dei motivi segreti? Anche i passaggi a vuoto del disco sembrano pertanto necessari, perché se hai voglia di osare devi prenderti qualche rischio e tra un disco coraggioso e un disco semplicemente bello per indole tendo a scegliere quello coraggioso.
E di coraggio i Flaming Lips ne hanno sempre avuto sin da quando, come recitava una raccolta dei loro primi lavori, da punk decisero di prendere l’acido. Da quel momento, hanno vissuto tante incarnazioni, dimostrando lo spirito inquieto che solo il viaggiatore possiede. Tante reincarnazioni dettate da logiche imperscrutabili che forse andrebbero ricercate all’interno della testa del leader indiscusso della formazione, Wayne Coyne. Ma sfiderei chiunque a trovarle che dentro quella testa dev’esserci un bel casino: B-movie, classici ipercolorati del cinema hollywodiano, film d’animazione della Disney, favole per bimbi (ma solo quelle inquietanti), residui di controcultura americana e tanta, tanta musica.
Adesso arriva un nuovo capitolo intitolato “Oczy Mlody” (che vuol dire qualcosa tipo gli occhi del bimbo, ma in polacco però… dimmi tu) dove il verbo psichedelico viene declinano per l’ennesima volta in maniera differente, facendo filtrare nel mondo stralunato dei Flaming il vocoder della trap, le ritmiche sottili dell’ultimo hip-hop, le cattedrali di suono di tastiere e arpeggiatori e su tutto un pasticcio di stratificazioni elettroniche che, in mano a questi vecchi rockettari cresciuti suonando i Led Zeppelin, potrebbe risultare fuori luogo, ma che invece suona a suo modo originale e per niente scolastico.
Dicevamo però del viaggio e delle sue tre fasi: partenza, traversata e arrivo.
E dunque, dopo l’ouverture di Oczy Mlody, si parte con il trittico How?? per vocoder, effettistica spaziale e una progressione melodica da brivido; si prosegue con lo strano pop in falsetto There Should Be Unicornse si chiude con Sunrise (Eyes of the Young)ballata per voce fragile e vulnerabile come quella di un bimbo e che di un bimbo ha il candore. Si entra così nella fase centrale del disco e qui il viaggio si fa spiazzante: Nigdy Nie (Never No) dove i ritmi si ingrossano con tastiere acide, bassi pesanti e batterie elettroniche, si ascoltano pochi vocalizzi dispersi nello spazio siderale, tutto pulsa, mentre intorno a noi sfila un paesaggio dai colori cangianti e le tonalità inedite; Galaxy I Sink melodia barrettiana, twang di chitarra siderale, archi che vengono direttamente da qualche vecchio film in technicolor (Il mago di Oz, forse?); One Night While Hunting for Faeries and Wizards and Witches to Kill, che lievita nello spazio fino a quando tocca a Do Glowyproseguire la deriva con il suo cantato etereo trattato con il vocoder, break psichedelici di tastiere acide e bassi sintetici, campane e archi lontani e sul finale un’oasi sonora che porta a Listening to the Frogs with Demon Eyesintrodotta da note puntute di piano nell’attesa che entrino in scena le chitarre che portano il brano in piena zona “Neil in the sky with diamond“, dove “Neil” sapete per chi sta.
Quando è tempo di invertire la rotta e tornare a casa, Wayne ci presenta le armonie vocali e gli arpeggiatori di The Castleci avverte tramite gli altoparlanti che il viaggio sta per terminare – Almost Home (Blisko Domu) – e prende congedo con We a Familyche, con la sua progressione armonica, ci riporta alle atmosfere della prima canzone “How??” ed è come ritornare, ma verso un differente punto di partenza. Ci si guarda attorno spaesati. Non si comprende bene cosa è successo e per capire si ricomincia da capo.