C’era proprio bisogno di un nuovo disco degli Spiritualized.

Magari durante gli anni di digiuno non ci pensi più di tanto, ma poi ogni volta, all’uscita del disco nuovo, ti torna subito in mente il motivo per cui tra i tuoi scaffali figurano tutti i loro dischi e come mai hai sempre voluto loro bene un po’ più degli altri. Come quei figli che sotto sotto ti creano apprensione perché sai che al genio corrisponde davvero una sofferta fragilità.

Sì, perché Jason Pierce – titolare della sigla – ha qualcosa che riesce a toccarti a livello di sensibilità: dev’essere per via di qualche tecnologia aliena che Mr. Spacemen si è portato di ritorno da uno dei suoi tanti viaggi stellari.

E, dunque, eccolo il nostro uomo dello spazio proporci il solito bellissimo disco dove l’aggettivo “solito” rappresenta limite e cifra, croce e delizia di un sound che, se ormai non sorprende più in ricerca, ammutolisce per la capacità di replicarsi a livelli sempre altissimi: non una melodia sbagliata o anche solo anonima, non un dettaglio meno che curato (persino nel packaging del supporto fisico), non una nota fuori posto e sì che, in un sound massimalista come quello che prevede il menù, la buccia di banana capace di farti scivolare verso le terre di Ridondanza&Ampollosità sarebbe facilissima da incontrare.

E invece c’è il solito senso della misura. La solita austera ricchezza.

E se un tempo quando, passando dal minimalismo psichedelico degli Spacemen 3 al massimalismo cosmico dei Spiritualized, Jason prendeva a prestito gli archetipi del soul e del gospel per potersi concentrare su una forma che perfezionava al punto da far diventare contenuto, adesso il ragazzo cita se stesso in modo che molte melodie del nuovo disco svelano correlazioni interne ad altri episodi della lunga discografia marchiata Spiritualized. E così ad esempio “A Perfect Miracle” è una nuova “Ladies & Gentlemen, we are floating in space” la cui dimessa malinconia permette di fluttuare solo a mezz’aria, ma con volteggi capaci di incantare, oppure “On the Sunshine” che è una variazione sul tema di “Hey Jane” o ancora una “Damaged” che rallenta “Stop Your crying” e sostituisce il ritornello corale con una progressione centrale per archi e chitarra elettrica concentrica e struggente. E via dicendo fino a mettere in fila nove nuovi episodi che sacrificano del tutto gli ultimi ardori garage in favore di un classicismo soul che i ricchi arrangiamenti orchestrali cercano di sparare oltre le celebri otto psichedeliche miglia. Nove episodi che, a detta del loro autore, hanno fatto fatica a prendere forma. Dichiarazioni queste, rilasciate in occasione dell’uscita del disco, cui si stenta a credere, suonando queste canzoni semplici come fossero sempre esistite.

E così, eccolo qua insomma il “solito” disco bellissimo, impreziosito da qualche pezzo di bravura da standing ovation (tipo gli arrangiamenti free jazz nella coda di “The morning After” o l’afflato gospel infarcito di fiati soul del singolo “I’m your man”), da qualche melodia colta alla luce del primo mattino (vedi quella di “Here It Comes (The Road) Let’s Go” perfettamente intonata a un testo che invita a viaggiare per raggiungere la più dolce delle mete) e dalla solita voce sottile che sembra sempre sul punto di spezzarsi, ma che invece da anni ci trascina lontano, oltre lo spazio conosciuto. (Voto: 7,5).

Spiritualized - Here It Comes (The Road) Let’s Go