Dopo due anni la cantautrice irlandese pubblica il suo secondo album “The two worlds” e apparentemente non sembra essere cambiato molto dall’omonimo disco d’esordio.
Come il precedente infatti è registrato, suonato da Brigid Mae Power insieme al marito Peter Broderick, che svolge anche il ruolo di produttore.
L’ambito musicale è sempre quello del cantautorato folk caratterizzato da un lirismo intimo e poetico e da un struttura musicale minimale sulla quale si innesta il cantato della Power, arcaico e moderno allo stesso tempo.
C’è però un avvenimento relativo alla sfera personale che rappresenta una cesura tra le due prove discografiche.
Qualche mese fa la Power decise di raccontare pubblicamente gli abusi subiti durante una relazione vissuta negli stati uniti. Un episodio come questo inevitabilmente influenza profondamente il nuovo disco e si traduce in una maggiore maturità e consapevolezza dell’autrice.
La prima indicazione in tal senso giunge con i primi due brani, costruiti sul contrasto tra amore salvifico e amore molesto.
La dolce “I’m grateful” costruita in maniera essenziale su poche note di chitarra, un battito sparso di percussioni e un discreto organo in sottofondo, sembra parlarci proprio di come la successiva relazione con Broderick sia stata decisiva nel percorso superamento del trauma vissuto.
Le prime parole, “Ti sono grata per le cose che hai fatto, per le vittorie che abbiamo raggiunto” sembrano lasciare pochi dubbi e l’interpretazione della Power, rafforzata dai cori proprio del marito, riesce a trasmettere in maniera sincera e coinvolgente il proprio sentimento.
Al contrario la seconda canzone “Don’t shut me up (politely)” rappresenta l’estensione musicale dello sfogo pubblico sulla terribile esperienza vissuta.
Dalle parole “Hai cercato di convincermi che ero qualcuno, qualcuno che di certo non sono” emerge una forte riaffermazione della propria identità personale che era stata quasi soffocata.
L’atmosfera tesa riflette lo stato d’animo della Power attraverso una pulsazione incessante del basso, percussioni più gravi e una chitarra più stridente. L’interpretazione della Power passa da toni più bassi che esprimono l’indignazione fino a inerpicarsi sulle note più alte in maniera liberatoria con una forza dirompente.
Queste due canzoni disegnano la struttura dell’album soprattutto a livello tematico.
I due mondi del titolo diventano quindi, di volta in volta, la Power e Broderick e il rapporto di coppia, il passato rappresentato dagli Stati Uniti e la nuova vecchia casa, l’Irlanda, il mondo locale e quello globale della title track.
Musicalmente le atmosfere prevalenti sono quelle serene e rarefatte della prima traccia, quasi a rappresentare la quiete dopo la tempesta dello sfogo.
L’elemento protagonista del disco è senza dubbio la voce dell’autrice. La Power dimostra di saper trascendere le proprie radici di folk singer per costruirsi una forte identità propria. Se paragonata alla quasi angelica bellezza delle classiche voci del folk inglese dimostra un approccio alla melodia obliquo e personale.
La cantante lavora molto sulle sfumature e spesso utilizza delle repentine impennate di note che potrebbero passare per sgrammaticature ma invece costituiscono parte integrante del fascino della cantante.
La produzione di Broderick svolge un ruolo perfettamente funzionale, dipingendo un sottofondo musicale misurato e sparso, cucito su misura per permettere alla voce di comunicare tutta la sua forza.
Chitarra, pianoforte e pochi altri elementi di volta in volta accompagnano e rinforzano le melodie della power o costruiscono la struttura ipnotica e ripetitiva dalla quale emerge il cantato.
La registrazione calda e densa di riverbero esprime appieno l’atmosfera serena, intima e soprattutto familiare che le canzoni emanano.
Il risultato è un disco prezioso che conquista lentamente e che non si presta ad ascolti compulsivi ma va assaporato nei momenti più quieti e forse più preziosi delle nostre giornate. (Voto: 8)
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